Nelle scelte dei dischi da recensire mi pongo sempre come requisito principale quello che l’album in questione abbia qualcosa di interessante da offrire.
Scelgo, poi, più facilmente gruppi poco conosciuti rispetto ai nomi sulla bocca di tutti e sulle musiche da proporre sono più orientato verso proposte nuove (che poi nuove in assoluto non sono) piuttosto che presentare lavori legati ad un classicismo rock che, fatta eccezione per pochi titoli, ha da tempo esaurita la propria vena creativa, per cui si assiste alla riproposizione di quanto di buono abbiamo ascoltato nel corso degli scorsi decenni.
Oggi vorrei porvi all’attenzione un album uscito per la grande Drag City dal titolo “Hippo Lite” dei Drinks.
Questo nome, probabilmente, risulta ai più sconosciuto, ma se vi cito i due componenti, Cate Le Bon e Tim Presley forse un maggior livello di conoscenza dovrebbe esserci.
La prima è una cantautrice gallese, il secondo, noto con lo pseudonimo di White Fence, è un musicista statunitense. I due si erano conosciuti sul palco durante un’esibizione dei White Fence e da subito mostrarono stima reciproca.
Nel 2015 era uscito la loro prima fatica a nome Drinks che proponeva un armamentario di tracce di stampo arty-wave abbastanza distante da ciò che i due proponevano singolarmente cioè folk-pop lei, pop-rock psichedelico di ispirazione sixties lui.
Ho ritrovato il vecchio suono Postcard (Aztec Camera, Orange Juice) legato ai Velvet, funk-wave alla gang Of Four in salsa psichedelica, acid rock-pop alla Julian Cope, qualcosa di indie-pop un po’ sbilenco e persino i Pink Floyd, ma in una dimensione più gotica.
Un album, “Hermits on holiday”, da recuperare nonostante la tanta carne al fuoco potrebbe spiazzare.
Tra i due esiste anche la collaborazione per il solo di Tim in cui Cate agisce in veste di produttrice e ci suona pure e che si intitola “The wink” ed è uscito nel 2016.
Un disco in cui si passa in rassegna la psichedelia britannica sballata da Cope ad Hitchcock per discendere fino a Syd Barrett e Kevin Coyne.
Un po’ a sorpresa esce il nuovo Drinks che ha richiesto un lasso di tempo piuttosto lungo per essere assemblato. I due sono stati rintanati in un’abitazione di pietra a Saint-Hyppolite-du-Fort in Occitania.
Immersi nella natura e senza contatti esterni per permettere una totale fusione con la musica da comporre e la natura circostante.
Il risultato si sente ed è altamente positivo. Fin dal brano introduttivo siamo immersi in atmosfere bucoliche, con un giro di chitarra acustica a cui si aggiungono rumori di sottofondo, voci femminili e maschili che si intrecciano all’unisono. Il pezzo si intitola “Blue from the dark” e si inizia alla grande.
Ci sono poi un paio di intermezzi di durata minima che ci conducono in “Greasing up” con le voci che si sovrappongono su una base tra country e musica rinascimentale.
“In the night kitchen” ci lasciamo sedurre da un azzeccato intervento di chitarra che sembra scordata.
Nella seconda parte il disco riprende la sua natura arty-wave, funk-wave e splendide commistioni di percussioni geometriche con chitarre taglienti.
C’è spazio anche per aromi canterburiani come nella conclusiva “You could be better”.
Un ascolto che riesce a stimolare i nostri sensi grazie alle tante idee che sono condensate nei solchi.


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