Un’impresa ardua recensire questi due album appena editati….
Diamanda Galas è un personaggio molto complesso che negli ultimi trentacinque anni ha percorso trasversalmente diversi ambienti musicali. Parte come pianista (a soli quattordici anni suonò il Primo Concerto per pianoforte di Beethoven con l’Orchestra Sinfonica di San Diego, sua città natale) e si rivelerà in seguito come una delle massime sperimentatrici in ambito vocale del secolo scorso insieme a Meredith Monk, pur trovandosi agli antipodi di un’ipotetica sfera di linguaggi espressivi….
Il suo timbro di voce sopranile viene da lei maltrattato e il risultato è stridente e demoniaco, particolarità che caratterizza tutta la sua produzione…. Sono pochi gli episodi in cui canta senza emettere suoni bestiali o infernali….
All the way” e “At Saint Thomas the Apostle Harlem” sono usciti poche settimane fa, a brevissima distanza l’uno dall’altro.

Il primo è costituito totalmente da reinterpretazioni di brani altrui, sia dal vivo che in studio. L’album si apre con l’omonima “All the way” di Jimmy Van Heusen…. Il brano è dilatato fino al parossismo, rallentato e pieno di dissonanze pianistiche… poi Diamanda, che interpreta il brano come un lamento scorato e rugginoso. “You don’t know what love is” (Don Raye, Gene De Paul) lascia spazio ad un’interpretazione piena di vocalismi e prossima alla litania, mentre l’accompagnamento al piano è sorprendentemente ortodosso, per i canoni dell’artista. Lo stesso vale per “The thrill is gone” (Lew Brown, Ray Henderson”), il piano è rarefatto e le sue acrobazie vocali fanno il resto. In “Round midnight” di Thelonious Monk la nostra si diletta in un gioco al massacro della frase portante dell’originale, andando sempre nella direzione di un espressionismo convogliato soprattutto da un’esecuzione caratterizzata da moltissimi staccati. A volte lo picchia e a volte lo suona, il piano…. In “O Death” (traditional/galas), si cimenta nei suoi spettacolari ululati…. Spaventosi come la morte… In mezzo, si improvvisa cantantessa folk, nera come la pece…. Grottesca. Comunque, la morte si sente… eccome se si sente…. Straordinaria esibizione live. L’album si chiude con “Pardon me I’ve got someone to kill” di Johnny Paycheck, che si tinge di un leggero ma nerissimo blues…
Nell’ambito della produzione non autografa della Galas, trovo sia una bella raccolta di brani e interpretazioni.

https://www.youtube.com/watch?v=t9YYv-oZfsk

 

At Saint Thomas the Apostle Harlem” si apre con una sorta di lamento/aria dark, “Verrà la morte e avrà i tuoi occhi” dal testo di Cesare Pavese, sempre piano e voce. Di bell’intensità, anche se quando la Galas canta da soprano risulta sempre stridente e a volte sgradevole…. Il che a me trasmette un grado di intensità unico…
L’album è dal vivo, registrato ad Harlem nel maggio 2016.
Reinterpreta “Angels” di Albert Ayler sostituendo al sax la sua voce….. Da brivido…Atmosfera da cabaret cimiteriale in “Die stunde kommt”, lungo brano a metà via tra la preghiera e il lamento… Poi ripropone due brani di Jacques Brel, “Fernand” che da minimale e quasi saltellante, l’originale, si fa intensa e drammatica, e “Amsterdam”, che parte lentissima e oscura per poi evolvere ad uno stile tipo marcetta, il che dà un’atmosfera un po’ surreale. Le due canzoni sono inframmezzate da una versione meno espressionista e meno sulfurea di “O Death” presente anche in “All the way”. Più sinuosa, risulta molto efficace e coinvolgente. “Artemis”, su testo di Gérard de Nerval, chiude il disco. Più declamato che cantato, il pezzo non è esente da momenti ricchi di melismi dal gusto leggermente mediterraneo….
Anche questo disco mi è piaciuto, si sente quell’intensità quasi sacrale che ho vissuto alle sue performances…

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