Se non ricordo male verso la fine degli anni ottanta e l’inizio del decennio successivo la musica popolare irlandese contava di un vasto seguito anche nel nostro belpaese. Certo c’erano anche persone che credevano che Enya facesse musica celtica, ma non era sufficiente usare melodie tradizionali sotterrate da tappeti di tastiere elettroniche per rientrare nella categoria di musica folk. Oggi sfortunatamente parlare di un disco di musica celtica mi fa sorridere, tanto è il disinteresse che ha colpito il genere. Un vero peccato perché di bei dischi ne escono ancora, anche se nessuno si prende la briga di segnalarli.
È il caso del nuovo disco dei Dervish, gruppo originario della contea di Sligo, che con questo lavoro celebra i trent’anni di attività dando alle stampe un omaggio alla propria terra di origine. Sono stati supportati dalla Rounder, etichetta americana, che li ha aiutati economicamente oltre a permetterli di poter usufruire della disponibilità di diversi ospiti, quasi tutti musicisti d’oltreoceano. Tra i credits si possono notare personaggi quali Steve Earle, Kate Rusby, Rhiannon Giddens, Jamey Johnson, Vince Gill, il gallese David Gray e altri ancora.
Non si tratta del solito tributo per poter avere un ritorno economico importante, ma di un lavoro in cui ciascun musicista è entrato perfettamente nella parte attraverso interpretazioni personali e sentite, cercando di personalizzare i brani nel miglior modo possibile, andando alla ricerca del significato profondo della canzone, arricchendola, ma preservandone lo spirito.
La scelta dei brani è stata accurata, ogni ospite si è impossessato della traccia che maggiormente lo ispirava. Si tratta per la maggior parte di canzoni d’amore, ma sono presenti pezzi da ballare e motivi da cantare ai funerali. Le tematiche di fondo riguardano la passione, la gioia di vivere, la tristezza e la disperazione. Gli arrangiamenti scelti vedono l’utilizzo di mandole, flauti, bouzouki, fisarmoniche e violini.
Il brano d’apertura è affidato alla bella voce della cantante della band Cathy Jordan e si intitola “The rambling irishman”, un traditional di oscura provenienza, noto anche come “The banks of sweet lough Erne”, che narra di un povero diavolo che abbandona dimora e innamorata per tentar fortuna in America.
La traccia successiva è la nota “There’s whiskey in the jar”, in cui gli Steel Drivers accompagnano i nostri per una versione ritmata, coinvolgente e travolgente, con un finale ricco di gioia.
Steve Earle è protagonista di “The Galway shawl”, sembra quasi irlandese tanta e tale è la passione che emana, accompagnato dai controcanti della Jordan, nel rendere la descrizione di un corteggiamento tipico delle zone rurali dell’isola dell’ovest. Tra gli highlights dell’album.
Jamey Johnson, gran countryman, purtroppo poco conosciuto, rilegge con struggente partecipazione “The fields of Athenry”, con la sua voce baritonale ci rende edotti della grande carestia che colpì l’Irlanda a metà dell’ottocento. Ti spacca l’anima il momento in cui il condannato alla deportazione in Australia dice addio a propri cari, colpevole di aver rubato per sfamare il figlio. Versione da manuale!!!
La Giddens, ultimamente onnipresente, rilegge la delicata ballata “May morning dew” utilizzando vocalizzi femminili per seguire la melodia dettata dal flauto.
La sorpresa di questa raccolta è l’attore Brendan Gleeson che mette in mostra doti non comuni in “The rocky road to Dublin” con il fratello Barry alla seconda voce, Tm Morrow al violino e Michael Holmes alla concertina.
La chiusura è affidata a “The parting glass” grazie alla voce di Abigail Washburn che con grande feeling rilegge questo brano di origini scozzesi, usato nelle chiusure conviviali tra amici.
Un’opera che dimostra come le melodie ed i racconti popolari godano ancora eccellente salute e siano così accattivanti!!!


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