Da oltre un quarto di secolo, il cantautore di Seattle, Damien Jurado, crea canzoni di tranquilla desolazione. Con una magia oscura, malinconica e silenziosa, ha raggiunto la sua anima per rappresentare le fragilità emotive e mentali dell’umanità, sia a livello macro, universale che micro, personale. È quindi una grande sorpresa che questo 18° disco in studio abbia un titolo che sembra completamente un anatema per il corpo di lavoro che ha costruito fino a questo momento. Finché non senti la musica, ecco!
Perché “Reggae Film Star” è un concept album infestato che fa rivivere i cuori stanchi, le anime e le menti dei personaggi al suo interno: attori tristi, cameramen e altre persone coinvolte in un film che queste sontuose e tenere tracce fanno sentire come se fosse fatto in un passato lontano, forse parallelo. In quanto tali, storie, pensieri e personalità disparate si intrecciano dove altrimenti non sarebbero: i loro ricordi e traumi riuniti da un’ambientazione falsa, in una narrativa di fantasia.
Naturalmente, ci sono diversi livelli di ironia postmoderna in gioco qui. Dopotutto, quei personaggi stessi sono prodotti inventati dalla mente di Jurado. Eppure, attraverso la sua bella interpretazione vocale, la ricca produzione di questi brani e l’immaginario preciso ed evocativo dei suoi testi, sembrano più che reali. Prendi, ad esempio, la squisita apertura, in stile Nick Drake, “Roger”, una canzone cadenzata e toccante sulla capacità della musica di fare da colonna sonora alla vita di periferia, il tutto mentre il pezzo si costruisce la propria vita. Ha un lento sviluppo che si insinua nel suo divenire. Improvvisamente, esisti dentro quella canzone, e poi solo dentro quella traccia. Non diventi solo il dolore e la tristezza contenuti nella voce di Damien, ma abiti anche i personaggi che possiede. Sulle vibrazioni degli anni ’70 di “Taped in Front of a Live Studio Audience”, quando canta ‘Abbiamo deciso chi va a prendere i bambini dopo la scuola?’, una domanda posta da uno dei personaggi del brano, vieni immediatamente coinvolto in quel mondo.
“Meeting Eddie Smith”, “What Happened to the Class of ’65?” e “Ready For My Close Up” sono altrettanto commoventi, come i fantasmi di un passato che non hai mai conosciuto, ma è il nostalgico jangle di accordi minori di “Whatever Happened to Paul Sand?”, questo è il trionfo travolgente qui, che intreccia traumi universali e personali in una canzone che usa Sand, un vero attore, ora novantenne, come simbolo della dissoluzione di una relazione. È una melodia (relativamente) ottimista, ma sotto c’è un’esegesi devastante dell’amore perduto: ‘Ricordo un tavolo, la sua sigaretta tesa fuori dalla finestra / Soffia cenere sui nostri vestiti / Ho perso la sensibilità nelle mie mani / ‘Non dimenticare Rivoglio indietro i miei dischi’.
È Jurado al suo miglior taglio crudele, anche se sta cantando come qualcun altro. Una meravigliosa, maestosa raccolta di brani!!!
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