I Dälek sono un gruppo di hip hop sperimentale nato a Newark (New Jersey); il combo è composto dal rapper Will Brooks e dal produttore Alap ‘Oktopus’ Momin. La scena da cui presero origine fu quella del DIY di metà anni ’90. La formazione registrò e suonò dal vivo con diversi dj fra cui Dj rEk, Hsi-Chang Lin e Motiv. Dal 1998 al 2010 realizzarono sei dischi per varie etichette, Gern Blandsten, Ipecac, Tigerbeat 6, Profound Lore. La loro musica è oscura, noise ed atmosferica e genera sensazioni sgradevoli. Si ispira all’industrial degli Einstuerzende Neubauten così come allo shoegazing dei My Bloody Valentine e dal lato hip hop al suono pieno dei Public Enemy. Sono stati descritti in tanti modi, anche criticati per la varietà del loro suono, ma credo che il Chicago Sun-Times li abbia descritti nel modo migliore: “Sono un concentrato di puro hip hop nel senso più stretto del termine. Se andiamo al passato, lo scopo dell’hip hop fu quello di creare un sound attraverso la ricerca di influenze diverse, se Afrika Bambaataa non fosse stato influenzato dai Kraftwerk, noi non avremmo mai ascoltato ‘Planet Rock’.”
Lo scorso anno tornarono dopo sei anni di assenza con il disco ‘Asphalt for Eden’ su Profound Lore e quest’anno, dopo aver firmato nel dicembre 2016 per Ipecac, si ripresentano a noi di nuovo. L’album ‘Endangered Philosophies’ non sembra dissimile dai precedenti. Il pezzo d’apertura ‘Echoes Of…’ ci presenta un suono claustrofobico con toni apocalittici, nebbioso e dilatato, insomma uno scenario da fine del mondo. I riferimenti sono sempre Public Enemy, My Bloody Valentine e l’industrial, che permettono alla band di raggiungere gli scopi prefissati, cioè la descrizione noise/ambient dall’effetto post-industriale dell’ambiente che ci circonda. Il processo di creazione musicale è in gran parte suonato, partecipano all’opera i Metz, i Municipal Waste e Chris Cole dei Movietone al violoncello e solo in seconda istanza il tutto viene campionato e scandito in rime. Drones e bordoni si diffondono a bassa intensità (‘Weapons’) o si sviluppano in modo quasi orchestrale (‘Beyond the Madness’). Sembra che la parte suonata prenda il sopravvento, ma il potere della parola si estrinseca in tutta la sua forza in ‘Battlecries’, dalle atmosfere notturne e jazz in cui Will Brooks recita liriche in onore al poeta di Chicago Amiri Baraka. Il disco è, forse, più accessibile dei precedenti, ma rimane comunque riconoscibilissimo il loro imprimitur. Probabilmente, ancora una volta, sarà ascoltato per lo più da persone fuori dalla cultura di riferimento.

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