Avevo già recensito i due precedenti album di Colter Wall e per questo mi ero ripromesso di non farlo in occasione del terzo se si fosse mantenuto sullo stile di quelli che lo hanno preceduto. Ho dovuto ripensarci perché il musicista canadese ha dato alle stampe un disco di cowboy songs e forse il migliore che mi sia capitato di ascoltare da anni a questa parte. È una esaltazione della più pura delle musiche popolari resa attraverso suoni diretti e senza alcun tipo di contaminazione.
Colter è uno dei nomi di punta della nuova scena country, quella vera non quella edulcorata ad uso delle classifiche di vendita. Originario del Saskatchewan, Canada, Wall è sicuramente una delle voci più importanti della nuova generazione di artisti country e folk, per molti il nuovo Johnny Cash, il futuro della scena e un nome che sta facendo breccia anche fuori dai confini americani. Il nuovo lavoro, “Western Swing & Waltzes and Other Punchy Songs”, uscirà il 28 agosto per La Honda/Thirty Tigers anticipato dalla titletrack.
Il giovane cantante cowboy ha costruito la sua carriera dopo ripetuti ascolti di classici del folk e del country americano e il nuovo album, terzo full lenght della sua carriera, è un tributo proprio ai suoni e al mondo che hanno influenzato la sua vita e il suo stile. 10 tracce divise tra composizioni originali e classici che passano in rassegna, folk, country classico, storie di cowboy, donne forti e terre desolate. Il nuovo lavoro di Colter è stato registrato presso gli Yellow Dog Studios a Wimberley, Texas, con Adam Odor e David Percefull alla produzione. Per registrare la nuova fatica il nostro ha chiesto aiuto alla sua band itinerante composta da Patrick Lyons (pedal steel, dobro, mandolino), Jake Groves (armonica), Jason Simpson (basso), Aaron Goodrich (batteria) a cui si sono aggiunti Emily Gimble (piano) e Doug Moreland (violino). Ascoltate la loro interpretazione del classico di Stan Jones “Cowpoke”, capirete perché sono stati scelti, suonano divinamente.
Tra i brani del nuovo album ci sono composizioni originali dal sapore tradizionale come “Talkin’ Prairie Boy” e “Houlihans at the Holiday Inn” che classici reinterpretati come “I Ride an Old Paint”e “Big Iron” di Marty Robbins (1960). Quest’ultima è particolarmente riuscita e si candida ad essere il capolavoro della raccolta, classico pezzo che da solo giustifica l’acquisto di un album.
Ormai non vi sono più dubbi il nostro amico canadese è un musicista coi fiocchi, anche lo scoglio del terzo disco è stato superato brillantemente!!!
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