“Shadow of Fear” è il nuovo album dei Cabaret Voltaire, uscito il 20 novembre via Mute, a 26 anni dall’ultima prova in studio. Dietro il moniker, il solo Richard H. Kirk, che, dopo l’abbandono di Chris Watson nell’81 e di Stephen Mallinder dal 1994 (anno in cui il gruppo ha dismesso l’attività), ha riesumato la storica sigla per una live performance all’Atonal Fest di Berlino nel 2014. Le otto tracce sono state sviluppate proprio a partire dalla rinata attività live del musicista di Sheffield, il quale ci tiene a precisare come il nuovo materiale non abbia nulla a che vedere con la nostalgia e sia appositamente pensato per il ventunesimo secolo.
«L’album è stato terminato proprio mentre tutte le stranezze cominciavano a manifestarsi, per questo “Shadow of Fear” sembra un titolo stranamente appropriato – dichiara Kirk nella nota stampa – La situazione attuale non ha avuto molta influenza su quello che stavo facendo, tutte le parti vocali erano già state perfezionate prima che esplodesse il panico generale. Ma forse, a causa della mia natura un po’ paranoica, dentro ci sono indizi su quanto le cose stessero diventando strane e cattura lo stato attuale della situazione».
il risultato è un album che sfida la categorizzazione. Il tono e la personalità di Cabaret Voltaire sono radicati nel suo nucleo mentre balla attraverso techno, dub, house, Kosmische degli anni ’70 e esplorazioni esoteriche generali accoppiate con campioni vocali mutilati. È un viaggio nella storia della musica elettronica che arriva a una nuova destinazione. I Cabaret Voltaire sono sempre stati un gruppo in anticipo sui tempi, a volte anche preveggenti, e questo album porta avanti questa evoluzione.
La genesi del nuovo lavoro è stata il festival Atonal di Berlino del 2014 in cui Kirk ha suonato il primo spettacolo da solo come Cabaret Voltaire. Ciò diede inizio a una nuova era per il pionieristico gruppo di Sheffield, la cui influenza sulla musica elettronica, post-punk e industriale rimane oggi intoccabile. Kirk spiega: ‘La dichiarazione d’intenti fin dall’inizio non era nostalgia. Le regole normali non si applicano. Qualcosa per il 21 ° secolo. Nessun materiale vecchio’. Da allora Kirk ha continuato a esibirsi in festival e concerti in tutta Europa, plasmando il suono del futuro dei CV. ‘Ho iniziato a sviluppare brani appositamente per le performance dal vivo’, dice. ‘Roba che era piuttosto spoglia e rozza. Ogni volta che visitavo un posto nuovo per esibirmi, scrivevo qualcosa di nuovo’.
Registrato nell’ultima sede di Western Works, lo studio utilizzato per tutta la storia del Cabaret Voltaire, Kirk ha giocato con l’aggiornamento del suo vecchio set al digitale, ma dopo un guasto al computer ha deciso di conservare la sua attrezzatura originale. ‘Fare questo album mi ha ricordato un po’ i vecchi tempi con il gruppo perché non c’era molta attrezzatura, quindi dovevi davvero usare la tua immaginazione’.
I CV hanno sempre miscelato umori e tensioni con il versante apocalittico della cultura pop. Gli ultimi anni li avevano visti flirtare con una ambient house dalle caratteristiche psichedeliche. Con la nuova uscita riprendono quel discorso attualizzandolo, rendendolo adatto all’oggi: paesaggi distopici si dipanano attraverso i suoni, a cui si sommano episodi che richiamano il krautrock e il jazz cosmico presentato con una lucidità rara.
Un disco che riprende da dove “The conversation” del 1994 aveva chiuso, aggiungendo tutto il sapere che Kirk e i suoi progetti limitrofi avevano toccato successivamente. Un nuovo inizio sta prendendo corpo!!!
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