BUILT TO SPILL- “Plays The Songs Of Daniel Johnston” cover album“Built To Spill Plays The Songs Of Daniel Johnston” è l’album che comprende 11 cover da parte del trio formato da Doug Martsch, Jason Albertini e Steve Gere del repertorio del compianto songwriter di Sacramento.

Ad anticiparlo, le versioni di “Bloody Rainbow” e “Life In Vain”. Ricordiamo che nel 2017 Johnston s’imbarcò nel suo ultimo tour con una differente formazione ad accompagnarlo in ogni città. Jeff Tweedy ha annunciato l’uscita di un live album relativamente alla data di Chicago in cui faceva da backing band assieme al figlio Spencer, mentre i Built To Spill hanno preferito pubblicare un album di cover. La band stava preparando un tour con Johnston prima che morisse: “È stato abbastanza speciale per noi. Fondamentalmente volevamo documentare nel giusto modo quello che le prove più o meno erano state. È stata molto più dura di quanto pensassi”.

I Built To Spill sono una cult indie band sin dagli anni ’90 guidata da Doug Martsch, mentre Daniel Johnston è stato un mito ‘maledetto’ e geniale, il più grande outsider della nuova scuola di cantautori. I suoi dischi sono letteralmente introvabili e la sua vita è stata molto travagliata a causa dei gravi problemi mentali che lo perseguitavano. Fu molto amato da artisti del calibro di Kurt Cobain, Sonic Youth, David Bowie, Tom Waits. Era letteralmente adorato anche da gente del cinema come Steven Spielberg e Matt Groening. Jeff Fuerzeig, nel 2005 gli dedicò il premiatissimo documentario “The Devil and Daniel Johnston”.

Vi domanderete quale possa essere stato il risultato: sommando le capacità di scrittura dell’autore con le qualità ed abilità degli esecutori non fatico a porre l’album molto in alto tra quelli che si occupano di tributi nei confronti di altri artisti. Gli album tributo sono difficili. Coverizzare le canzoni di qualcun altro può essere un modo divertente e innovativo per rendere più eccitante lo spettacolo dal vivo di una band, ma la registrazione del materiale di un altro artista sarà sempre accolta con scetticismo dalle basi di fan su entrambi i lati. “Perché non un nuovo album di originali invece?” Per molti versi una band ha bisogno di avvicinarsi a un tributo con la stessa quantità di curiosità e creatività con cui si avvicina alla propria musica.

In quest’occasione si percepisce una sensibilità molto particolare, dovuta al rapporto che si instaurò durante le prove per la preparazione dell’ultimo tour di Daniel. Mentre si preparavano per l’esibizione in due date, il frontman dei Built to Spill, Doug Martsch, decise di registrare le loro sessioni di prova da condividere con gli amici. Non molto tempo dopo Martsch era in studio con l’intento di lavorare su qualche materiale originale, ma invece si trovò a rimettere mano alle canzoni di Johnston. La band finì per registrare “Built to Spill Plays the Song of Daniel Johnston”, un tributo all’enorme e diversificato lavoro dello sfortunato cantautore. La combinazione delle due entità è un matrimonio quasi perfetto di sensibilità pop rock e sincerità lirica. La traccia di apertura dell’album, “Bloody Rainbow”, presenta una vecchia traccia acustica, tra le preferite dal vivo, di Johnston trasformata in una canzone rock che potrebbe essere facilmente scambiata per un originale Built to Spill. Queste versioni hanno una qualità che esce senza sforzo, come se la musica fosse già scritta nel DNA della band. Martsch ha avuto un legame con il raw, lo-fi pop di Daniel fin dai primi dischi Built to Spill, anche in coppia con il frontman dei Beat Happening nonché principe ereditario di ‘twee rock’ Calvin Johnson per formare il supergruppo, ormai defunto, The Halo Benders. Quindi non è una sorpresa che Doug si senta ben preparato a navigare l’innocenza infantile e la meraviglia che viene catturata in queste canzoni. Il gruppo porta le qualità pop rock intrinseche degli anni ’50 e ’60 in molte delle canzoni di Daniel su questo tributo. E in molti modi, alcune di questi brani suonano più realizzati che mai. Johnston era spesso impegnato a emulare i suoi eroi di scrittura John Lennon e Paul McCartney. E nessuno, a corto di Beatles, avrebbe potuto rendere giustizia di queste canzoni in modo migliore dei nostri. Martsch e compagnia danno un tocco di musicalità senza sacrificare l’onestà emotiva e l’intensità grezza delle canzoni di Johnston.

Questo lavoro riesce a fare ciò a cui la maggior parte degli album tributo aspira, ma che pochi raggiungono – è una testimonianza delle canzoni e della band che le reinventa. Il buon Doug mette in evidenza i testi e gli arrangiamenti di Johnston in un modo fresco e innovativo che ci fa riconsiderare questi pezzi ricordandoci perché ci siamo innamorati di loro!!!


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