BIRDS OF MAYA – ‘Valdez’ cover albumPhiladelphia è una città che sa come dondolarsi adeguatamente. Con la notizia che gli headz di Philly, i Bardo Pond, stanno ottenendo la possibilità di ristampare, per il giubileo d’argento, il loro capolavoro psicotropo del ’96, Amanita, arrivano notizie da altri dei figli preferiti e prodigamente rumorosi della città, i Birds of Maya; voglio dire, otto anni da quando ci siamo lasciati con il lungo formato, “Celebration”, a due tracce; undici da “Ready To Howl”, durante il quale, ovviamente, Mike Polizze si è fatto sedurre dal progetto Purling Hiss con Ben Leapheart che si è unito a lui nel gruppo; Drag City, ovviamente, ha pubblicato il trio di album più recente di quella propaggine, “Water On Mars”, “Weirdon” e “High Bias”.

In realtà questa uscita era già stata registrata nel 2014 presso gli studi Black Dirt, un anno dopo “Celebration”, poi ognuno del gruppo ha preferito seguire un proprio percorso e il lavoro fu accantonato. Non sicuramente per mancanza di qualità dell’opera: una scrittura che ci riporta al miglior momento dei Dinosaur Jr, fine anni ottanta/inizio novanta, chitarrismo che profuma di Husker Du e un vocalismo che torna ai momenti belli dello street-punk e dell’hard-rock della metà dei seventies, questo è quello che troverete in “Valdez”. Gran parte di questo album, incluso il nome e l’artwork, è in onore della bellezza e della natura selvaggia dei lotti vuoti in cui suonavano spettacoli in giardino o costruivamo campi da gioco per i loro bambini prima che venissero tutti scavati per costruire condomini giganteschi. È più difficile ora trovare la Terra da quelle parti. Non è sparita, si è solo nascosta, in attesa di essere liberata di nuovo.

Il che è abbastanza utile, dal momento che la più prolifica e vitale delle etichette del Midwest, la Drag City, sta portando alla luce il primo LP dei Birds of Maya in otto anni, e dai suoni di “BFIOU” hanno tutta la roba buona che va avanti: fireHOSE, gli Asheton, Iommi, pedali superfuzz accumulati. Distorsione. Voci one-take e direttamente dall’anima disordinata. Ancora una volta, venti di chitarra calda e tuoni umidi di bassi e tom rimbombano tutt’intorno. È un’esplosione impennata di riff, piena di abbandono punk rock, sludge, treble, distorsione, assoli rock n roll da strozzare il collo, batteria e basso martellanti e mezzo gridato / mezzo gargarismi vocali, tutto per metà acceso e per metà spento.

All’epoca in cui questo è stato registrato, i Birds of Maya stavano dall’altra parte, dopo dieci anni a scalciare per la città, improvvisamente lontani dalla melma primordiale da cui erano saltati fuori. Le strade in cui tutto questo era successo stavano cambiando, con nuovi soldi che arrivavano, ma erano gli stessi vecchi Birds, contenti delle loro libagioni e delle variazioni assordanti sui vecchi accordi preferiti di Stooges. La copertina di “Valdez” è un paio di immagini di quei giorni, scorci delle vecchie radici prima che fossero strappate dagli sviluppatori per costruire condomini. Ma nulla va mai davvero via, “Valdez“ si erge in mezzo al paesaggio mutevole.

A riascoltare questi suoni sembra che il tempo si sia fermato a tanti anni fa, poi si guarda il calendario e ci si accorge che quei momenti meravigliosi sono terminati da tanti, troppi, anni. Non resta che la musica a ricordarceli!!!


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