“Mirrored” è stato una vera botta. Un disco inaspettato, in grado di far convivere math rock, avant pop e loop(tronica). È arrivato al momento giusto, in un periodo storico in cui il revival post punk aveva ceduto il passo a produzioni più indie ed elettroniche. Era un disco di ricerca, ma conteneva in sé una potabilità che andava bene per vari livelli di ascolto. Poi ci fu l’uscita dal gruppo dell’elemento più instabile del combo – Tyondai Adaien Braxton. La band ne uscì su una doppia prospettiva: una evoluzione sulla falsariga dei grandi act elettronici degli anni ’90 – produzione al servizio di creatività esterne al canto e alla performance e viceversa – e la restrizione nelle maglie di un power math trio comunque avvincente e originale.
Ora l’uscita del quarto album dei Battles vede la formazione rimanere un duo, cioè Ian Williams alla sei corde, tastiere ed elettronica e John Stainer alla batteria. L’album è stato registrato interamente nella loro città, New York. Il contenuto dell’opera rimanda chiaramente alla Big Apple e all’energia di una metropoli che non sembra mai dormire. Sono presenti diversi ospiti quali Sal Principato dei Liquid Liquid, Xenia Rubinos, Shabazz Palaces, Tune yards e persino Jon Anderson degli Yes, una divinità del prog.
Questa raccolta rappresenta un certo ritorno a casa, in quella New York che è sempre in grado di fornire elementi ed energia per abbeverare l’ispirazione. Basta l’ascolto di “Ambulance” per essere proiettati nelle strade della metropoli per un blend di ritmo e melodia bizzarra e cangiante. Per “A loop so nice” è inutile che introduca il contenuto, tanto, già dal titolo, si comprende dove si vada a parare, mentre “They played it twice” è dominata dai synth che si spalmano su un tessuto percussivo assai contorto con la Rubinos che aggiunge un tocco soul al tutto.
Jon Anderson e Praire WWWW prestano le loro voci nell’anfetamico post-rock di “Sugar foot”. Si tratta del lavoro più giocoso e leggero dei nostri, ma sempre capace di trovate originali nei suoni e nelle strutture. Citerei ancora un paio di pezzi, “Fort Greene park” che ci delizia con gli intrecci tastiere e chitarra e la title track che sembra un pezzo da videogame che si muove come una scheggia impazzita.
Da ascoltare a volume alto per ricevere in cambio una scarica di adrenalina non indifferente!!!


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