Prodotto dal collega vincitore del Grammy, Joe Henry (Bonnie Raitt, Rhiannon Giddens), e con la partecipazione di Allison Russell e Madison Cunningham, “Age Of Apathy” trova il dono della O’Donovan per l’immaginario poetico e la melodia non convenzionalmente affascinante in piena fioritura, mentre affronta il fuoco di fila dell’era digitale. Tra arrangiamenti sinfonici che rivelano una sorprendente padronanza del suo mestiere, Aoife presenta una dichiarazione di sfida e amore radicale – che la riafferma come una delle nostre più vitali autrici di canzoni. Collaborazioni a distanza – in particolare con il bassista David Piltch e il batterista Jay Bellerose – hanno introdotto ritmi e strutture inaspettate nell’architettura delle canzoni, permettendo alla O’Donovan di piegare il proprio suono in forme più espansive. E con la guida esperta di Joe Henry, è stata in grado di sviluppare il mondo sonoro sognante e riccamente orchestrato – ma mai eccessivo – che dà a “Age Of Apathy” la sua estetica distinta e avvolgente.
Questo è il terzo disco della cantautrice, un riflesso misurato della vita e dei tempi, della sua vita e dei suoi tempi. Generalmente in sordina, il lavoro riflette sui ricordi e le storie che accompagnano il Millennio. C’è molto da ascoltare, molto su cui lavorare in cui testi forti rivelano tanto quanto raccontano; immagini più che scritti diretti e ovvi. Molte canzoni sono senza ritornello, oppure un’altra riga potrebbe essere aggiunta man mano che la traccia procede. La narrazione è importante, non due semplici battute e un aggancio ripetitivo. Tutto questo mi porta in un territorio pericoloso, dove raramente mi piace camminare, quello del confronto. Non sento nemmeno echi ma riflessioni -c’è ancora quella parola – riflessioni di Joni Mitchell le cui composizioni dispiegano una narrazione, una storia che può essere sia facile che opaca da vedere attraverso. Lo stesso accade qui, incarnato dalla title track.
Questo è un LP in grado di mettere in mostra una grande capacità di descrizione, un periodo di tempo forse iniziato, forse scandito dalle Torri Gemelle: ‘tienimi come mi hai tenuto il giorno in cui sono cadute le torri’. Ci sono echi di un passato diverso, più in particolare e non così a caso, “My Old Man” della Mitchell. Il brano rivela, forse, il desiderio di nascere ‘nell’era dell’apatia’. Per coloro che sono troppo piccoli per ricordare o che sono nati dopo l’evento, ha lo stesso significato per quelli che erano in giro in quel momento? O rientra in qualche atrocità che non ha distanza generazionale? Soprattutto per gli americani, c’è un rimpianto che l’11 settembre significhi meno per i giovani adulti.
“Elevators”, riesamina i ricordi e si rende conto che niente dura, proprio come il ghiaccio che si scioglie sulla lingua. Ma la memoria sopravvive. “Prodigal Daughter”, una canzone con Allison Russell che ha iniziato a scrivere con Tim O’Brien diversi anni fa, ha una narrazione più diretta, ma ugualmente carica emotivamente. Queste emozioni però non sono fuori scala. Non ci sono istrioni, grida o lamenti, e nemmeno apatia. I pezzi di Aoife sono consegnati in un modo che ti fa venire voglia di dedicare loro tempo, prestare loro attenzione. Mentre l’album volge al termine, c’è speranza; c’è luminosità; c’è un futuro. Con Madison Cunningham, “Passengers” offre uno sguardo positivo al futuro. Questa è una registrazione del viaggio di O’Donovan che coincide con così tanti di noi che possiamo camminare con esso, sentirlo, facendo eco a tutte le nostre difficoltà degli ultimi due anni e uno sguardo positivo al futuro. Ascoltate attentamente ma ascoltate per divertirvi. C’è un fascino che non può fare a meno di colpire chi si pone con attenzione all’ascolto!!!
No responses yet