La musica di Another Sky ha la più alta delle ambizioni. Nel loro album di debutto “I Slept On The Floor”, i loro scintillanti paesaggi sonori sembrano avere il potere di abbattere edifici e cambiare vite e opinioni; la musica colpisce come un uragano, mescolando il gigantesco potere post-rock di Mogwai con il vertiginoso spirito comune e il coraggio di Arcade Fire.
Erano attesi e non hanno certamente deluso. Molto del fascino deriva dalla voce sbalorditiva di Catrin Vincent, che non ha termini di paragone, ammaliante e misteriosa. “La gente dice che sembro un uomo”, dice Vincent. “Forse questo significa che ascolteranno più volentieri.” Da quando la band ha suonato il primo spettacolo alla St Pancras Old Church di Londra nel 2017, quando il quattro pezzi suonava ancora avvolto nell’oscurità e nell’ombra, la gente chiedeva a gran voce chi ci fosse dietro questa voce e Vincent si chiese perché fosse così importante saperlo. Questo anonimato non fu una trovata pubblicitaria, ma solo un caso. La dimostrazione viene fornita da questa eccellente prova sulla lunga distanza.
Sebbene la maschera non sia mai stata veramente lì dal punto di vista di Catrin, è stata strappata via con rabbia in “I Slept On The Floor”. L’album mescola il personale e il politico in modo brutale, con una musica così potente che è impossibile non notarlo, il tutto accompagnato da una voce unica nella sua generazione.
Max Doohan (batteria) Naomi Le Dune (basso) Jack Gilbert (chitarra) e Catrin Vincent si sono incontrati mentre studiavano alla Goldsmiths University e negli ultimi due anni si sono costruiti la fama di band compatta, affidabile, dalla forte personalità. Non si fanno remore a trattare argomenti scomodi (bullismo, sessismo, salute mentale, Brexit) in testi che pungono e colpiscono. Passati rapidamente dall’alt – pop dei primi brani a un post rock deciso e tagliente, regalano quarantaquattro minuti di rabbiosa armonia.
Gli Another Sky prediligono armonie in crescendo imponenti e improvvise, portate a compimento da una combinazione di ritmi sincopati elaborati sulla ricca linea vocale. L’album vira, per tutta la sua durata, tra sezioni più soffuse e inquietanti (il post-rock di “How Long” e “All Ends”) e trazioni più vitali (l’alt-pop di “I Fell In Love With The City” e il battito mainstream di “Let Us Be Broken”). La maturità della band viene a galla nella title track, intensa e sussurrata, oppure nella multiforme “Life Was Coming In Through The Blinds”, dove i ritmi tenui dell’introduzione lasciano il posto a uno schiacciante sound, che mostra una ricchezza strumentale amalgamata alla perfezione.
Un’opera capace di suscitare emozioni, non si scade mai nella banalità e chi avrà la voglia di ascoltarla con attenzione saprà essere ricompensato adeguatamente!!!
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