Jamal è un pianista statunitense, parente di Malcom X, che si convertì all’Islam nel 1952. La sua parabola artistica è abbastanza emblematica sull’ottusità, a volte, della critica. Fu considerato all’inizio, forse per la sua giovane età, un pianista da pianobar, mentre successivamente fu portato alla gloria e riconosciuto come figura fondamentale del pianismo jazz, anche se rimane comunque una figura di culto e quindi poco conosciuta dal grande pubblico. E’ senza dubbio un innovatore del suo strumento, ebbe il coraggio di superare gli stilemi boppistici di Bud Powell, che è considerato il maestro del pianismo jazz. Ahmad, grazie alla sua tecnica, è noto come il profeta, l’architetto, l’uomo con due mani destra. Il suo stile, che influenzò in modo palese il primo quintetto di Miles Davis, era caratterizzato da fraseggi meditativi e di ampio respiro. Il brano per cui è noto è la sua versione di ‘Poinciana’, apparsa per la prima volta al Pershing di Chicago ed immortalata su disco. Jamal non si è mai seduto sugli allori, ma ha sempre cercato di innovare, divenendo funky e caraibico negli anni ’70, usando voicing aperti su cavalcate virtuosistiche negli anni ’90. Non si è mai allontanato però dal suo uso dello spazio, dai drammatici crescendo con una parte armonica sempre attenta all’uso dello staccato. A causa del suo carattere piuttosto riservato ha sempre avuto una visibilità inferiore rispetto ai suoi meriti. Durante la fine degli anni ’60 e per tutti gli anni ’70 quasi si ritirò per potersi occupare del suo club (l’Alhambra) a Chicago. Ricominciò ad essere operativo negli anni ’80 e fino ai giorni nostri, oramai ottantasettenne. Di lui possiamo affermare che sia una leggenda vivente. A supporto di quest’affermazione si può guardare un video del 1960 in cui tra il pubblico presente in sala si possono scorgere musicisti attenti ed estasiati come Ben Webster, Hank Jones, e Buck Clayton. E’ di alcune settimane fa l’uscita di ‘Marseille’, edito dalla Jazz Village. Siamo di fronte ad un capolavoro in questo album che celebra l’assolato porto francese di Marsiglia, una delle città preferite dal nostro. Il tema omonimo appare tre volte, all’inizio solamente strumentale e gravido di mistero, in seguito è arioso, sensibile e si basa su uno spoken word in francese del rapper Abd Al Malik contrappuntato dalle note del piano, ed infine è interpretato dalla franco-beninese Mina Agossi, un po’ la sintesi delle precedenti versioni con un pianismo elegiaco ed una voce che ammalia e che ci trasporta nel mediterraneo. ‘Pots En Verre’ si dispiega come un bembe cubano mentre il traditional ‘Sometimes I Feel Like A Motherless Child’ è sorretta da un ritmo funky di sapore neworleansiano. Notevole anche la ripresa di ‘Autumn Leaves’ in tinta latina. Il disco cresce con gli ascolti e svela sempre nuovi particolari.
Cinque meritatissime stelle.

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