ABIODUN OYEWOLE – ‘Gratitude’ cover albumLa voce permea “Gratitude”, il nuovo album solista di Abiodun Oyewole. La vocalità fisica di Oyewole afferra l’ascoltatore, rendendolo rapito dal suo profondo registro che analizza e pronuncia saggezza sincopata. È anche un conduttore che dà spazio a regioni e luoghi come Harlem e Brooklyn, parlando nella ricca diversità delle loro espressioni culturali. Infine, essa funziona nel senso che il lavoro di Abiodun qui dà risalto all’ampiezza della propria esistenza, alla profondità dei suoi amori e al luogo in cui la gratitudine e la gioia costante detengono in relazione alla sua passione per la giustizia in un mondo che ha bisogno di guarigione.

Il nostro è una figura fondamentale nella poesia americana, nel movimento Black Power e Civil Rights e nella formazione dell’hip-hop e del rap americani come co-fondatore dei Last Poets. Il 19 maggio 1968, Oyewole, insieme a David Nelson e Gylan Kain, eseguì poesie intrise della bellezza e dei temi del nazionalismo nero in un parco di Harlem nell’anniversario del compleanno di Malcolm X, tre anni dopo il suo assassinio. Il produttore jazz Alan Douglas in seguito firmò un gruppo riconfigurato che includeva Abiodun e nel 1970 i Last Poets avevano pubblicato il loro primo album omonimo che creò potenti increspature culturali.

Ora nei suoi primi settant’anni, il poeta attivista ha pubblicato un nuovo disco solista che, secondo l’introduzione dell’intervistatore Pat Thomas al libretto di 16 pagine che accompagna il lavoro, ‘… cattura la bellezza della vita di fronte a questa ‘merda’ orribile che stiamo affrontando’. “Gratitude” è quella dichiarazione, una celebrazione di 12 canzoni della gioia, della bellezza e della ricca eredità a cui le profonde e ricche intonazioni baritonali di Oyewole danno espressione e vita. Questo rilascio è una testimonianza in senso classico, un attestato della profondità e dell’ambiguità del movimento spirituale in mezzo a noi. Egli sta ancora dando voce allo spirito di rivoluzione, rivelandolo qui come lo spirito della vita che emerge dalla bellezza della stessa e della cultura nera in America.

L’ascoltatore viene immediatamente inondato dal dolce suono della pioggia accompagnato da silenziosi schiocchi delle dita e dal pianoforte prima che la voce soul di Taylor Pace si unisca ad un morbido ritmo di batteria per introdurre “Rain”, la prima traccia del disco. Le parole poetiche sonore e autorevoli di Abiodun entrano in questa scena per riflettere sulla complessità simbolica della pioggia, quella che ci nutre, ma che è spesso accompagnata da forza e pericolo. Il pezzo introduce temi che amplierà per tutto il lavoro: la necessità di lottare per la crescita, l’eredità della famiglia e degli antenati che si trovano a loro agio e che si confrontano, e rovesci di pioggia vivificanti che possono essere agrodolci. Si muove in “My Life”, un annuncio di indipendenza e responsabilità, un messaggio attraverso il divario generazionale della saggezza insita nel riconoscere il proprio potere e la propria finitezza.

“Harlem” e “Brooklyn” seguono come odi back-to-back alla ricca arte e potere della cultura nera manifestata nei quartieri storici di New York City. Le canzoni giustapposte incarnano i rispettivi omonimi in stili musicali e lirici contrastanti. “Harlem” è una serica lettera d’amore R&B al fulcro delle ricchezze culturali dei neri in arte, musica, cibo, danza e letteratura. È un tour completo, che abbraccia il territorio simbolico dalla chiesa battista abissina al Club Baron. Al contrario, “Brooklyn” trasuda una forza più diretta, guidata da un ritmo di batteria jazz di spavalderia percussiva per abbinare la natura indomita e tosta del quartiere. Brooklyn non è da scherzare e, nella canzone, i versi poetici del nostro sono accompagnati da un rap del figlio più giovane, Ada da Poet.

Altre tracce, tra cui “To Begin”, “Spirit” e “Occupy” (un’espansione giocosa sugli obiettivi del movimento Occupy del 2011), ripetono e ampliano questo tema delle risorse spirituali ed emotive. La chiusura, “What I Want to See”, è un’eco dell’atmosfera di Last Poets con lo scarso accompagnamento percussivo al ritmo di tamburi uniti alla visione di Abiodun Oyewole di un mondo a venire, uno che sta nascendo proprio ora e sforzandosi di emergere in pieno. Rievoca l’ascoltatore a quel primo concerto nel 1968 nel parco Marcus Garvey mentre allo stesso tempo lo spinge verso il futuro promesso. È una sintesi che è anche una chiamata a immaginare il frutto della gratitudine all’interno della lotta.

“Gratitude” è un’affermazione essenziale per un momento come questo da parte di una delle voci più influenti che informano la tradizione musicale americana dell’hip-hop e del rap. Questo nuovo album offre un caso convincente che il lavoro di tutoraggio e profezia poetica di Abiodun Oyewole è ancora rilevante e necessario!!!


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