Anticipato dalla floreale psichedelia folk pop del singolo di lancio, “The First Day”, da cui è stato estratto anche un bel videoclip diretto da Daniel Brereton, “Fever Dreams” è il quinto album del dublinese Conor O’Brien, in arte Villagers. Successore di “The Art Of Pretending To Swim” del 2018, scritto nel corso di due anni, e con la maggior parte delle canzoni registrate in studio con la band al completo tra la fine del 2019 e l’inizio del 2020, il disco è stato rifinito dal solo O’Brien nel piccolo studio casalingo di Dublino e, infine, missato da David Wrench (Frank Ocean, The xx, FKA Twigs). Al solito quando parliamo dell’arte di Villagers ci riferiamo a canzoni scritte con la delicatezza di Elliott Smith e la prosopopea di Conor Oberst, giocate su un misto di intimismo, gioia e malinconia e arrangiate per contrasto con fare corale e anche sinfonico. Il graduale allontanamento del nostro dalle sue radici folk acustiche dal debutto nominato al Mercury del 2010, “Becoming A Jackal”, è pienamente realizzato nel suo quinto album in studio caleidoscopico.
Vivendo un po’ in una terra fantastica, “Fever Dreams” è guidato dalla connessione emotiva, dall’interazione umana e, attraverso indulgenti combustioni strumentali, dall’opportunità di esprimersi onestamente. ‘A volte gli stati più deliranti possono produrre i sogni più estatici, euforici ed evasivi. . .’ recita l’introduzione al quinto album di Conor, che ci dà il benvenuto in un nuovo capitolo esplorativo nel suono indie e nella visione filosofica del dublinese.
“Fever Dreams” è sicuramente il più grande in termini di ambizione e portata fino ad oggi – con l’intenzione di O’Brien di creare ‘qualcosa che fosse generoso per l’ascoltatore come lo era per me stesso’. Questo inizialmente ci intrappola in una specie di traballante cabina telefonica subacquea, la bolla che salta in poche battute in “The First Day” per rivelare un mondo technicolor di fiati, guaiti, xilofono e spesse linee di basso mentre O’Brien opina la rinascita di ‘fiocco di neve’, ‘sole’ e ‘innamoramento’.
Denso ma non pesante, ci sono molti tocchi magistrali più una quasi totale mancanza di cinismo nei testi del cantautore, che sono ricchi quanto la musica in cui si immergono. “Momentarily” lo vede passare da una preoccupazione a ‘le piccole cose che divorano’, come le macchie di caffè e gli allarmi delle auto, ai timori globali per ‘l’incendio boschivo in prima pagina’. “Circles In The Firing Line” trova Villagers ancora più irritabile, chitarra frastagliata, voci e bip che perforano il calore, mentre “Restless Endeavour” costruisce un crescendo skronky attorno al suo loop di una frase.
Sono i sontuosi paesaggi sonori che colpiscono di più, a volte riecheggiando il classico songwriting, il jazz e il soul di Laurel Canyon. Questo è riprodotto in modo lussureggiante nei sette minuti di “So Simpatico”, un’ode a un amore ritrovato che c’era da sempre, completo di un cambio di tonalità celebrativo e O’Brien che ripete ‘più so/più mi interessa’. Il ritornello riemerge nella dolorosa “Full Faith In Providence”, una canzone spogliata che ha armonie angeliche femminili che volteggiano attorno alla melodia vocale e al pianoforte ossessionanti di Conor, e di nuovo nella title track simile a un carillon.
Il disco sembra riguardare la scoperta di un tesoro che è stato nascosto o dato per scontato; un modo attraverso gli incubi a cui fa riferimento il suo nome. È amorevolmente e abilmente messo insieme: un balsamo uditivo per facilitarci nel fragile rientro!!!
No responses yet