La prima volta che ne sentii parlare fu a causa di una recensione del loro album di debutto. Fui attirato dalla splendida copertina che ritraeva una cassetta in legno con dentro spazzole, bonghi, Danelectro, e di fianco una fisarmonica. Chi erano i Subdudes? Che musica potevano eseguire se utilizzavano quegli strumenti?
La risposta è il miglior New Orléans sound da tanti anni a questa parte. Il loro suono è una splendida commistione di folk, swamp, funk, blues, zydeco/cajun, il tutto accompagnato da splendide armonie vocali. All’inizio la formazione contava sulle prestazioni del chitarrista e cantante Tommy Malone (fratello del chitarrista dei Radiators, Dave), di John Magnie alle tastiere e alla fisarmonica, di Steve Amedée alle percussioni e di Johnny Ray Allen al basso. Una caratteristica peculiare è quella che non usano la batteria ma vari tipi di percussioni che non sono invadenti rispetto al loro suono, ma lo colorano di splendide sfumature. Immaginate la mia gioia nell’apprendere della loro venuta in Italia per una data a Milano nel 1994. Non me la lasciai scappare. Nonostante il pessimo locale e la scarsissima affluenza di pubblico offrirono un’esibizione calda e coinvolgente per oltre un’ora e mezza. Li rividi altre due volte, l’anno successivo a casa loro, a New Orléans, durante il festival che si tiene nella Big Easy. Fu un concerto strepitoso, a metà giornata, sotto un sole cocente ed un’umidità che non faceva respirare. La loro musica, in quel contesto, mi parve ancora più espressiva e colorata, e le armonie vocali mi rapirono per circa un’ora. Tale fu la durata dell’esibizione. L’ultima volta che ebbi l’occasione di vederli fu al Festival Rootsway, che l’associazione di cui facevo parte organizza da oltre 10 anni nella Bassa Parmense. La location era Polesine Parmense e i nostri illuminarono ancora di più il tramonto sul Po con una performance calda e ricca di pathos. Mi ricordo che Lightnin’ Malcolm mi disse “They are a first class band”.
Scusate la lunga introduzione, ma la passione che provo nei loro confronti è tale che spesso disquisisco a ruota libera. In realtà vi volevo parlare del loro terzo album uscito nel 1994 per la High Street Records del gruppo Windham Hill. La produzione di ‘Annunciation’ è nelle mani di Keith Keller e del veterano Glyn Johns. Il suono è sempre quello che li caratterizza e la strumentazione è, come in precedenza, ridotta all’osso. Le atmosfere sono morbide e la ballata la fa da padrona. I brani di riferimento sono ‘Why Can’t I Forget About You’, ‘I Know’, ‘Poverty’, ‘Save Me’ e ‘Cold Nights’, in cui gli arrangiamenti sono dati da percussioni leggere e spazzole, fisarmonica e bottleneck. ‘Message Man’ è intrisa di soul fino al midollo e ‘Miss Love’ è un blues in cui spiccano il pianismo di John Magnie e la chitarra elettrica. Accattivante è la loro versione di ‘Late At Night’, grande presenza di slide che duetta alla grande con la fisarmonica, il tutto impreziosito dalla vocalità di Malone. Ma è ‘It’s So Hard’ il brano più coinvolgente con chiare reminiscenze della Band di Robbie Robertson.
Un disco che non ha perso un grammo del suo feeling. Cercatelo e adagiatevi nelle atmosfere della Louisiana, non ve ne pentirete.

Category
Tags

No responses yet

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *