THE HOLD STEADY: “Open Door Policy” cover albumGli Hold Steady sono usciti con un nuovo album “Open Door Policy”, anticipato dai singoli “Family Farm” e “Heavy Covenant”. Le 11 canzoni presenti nel disco sono state registrate presso il The Clubhouse studio di Rhinebeck, New York, con il produttore Josh Kaufman e l’ingegnere del suono D. James Goodwin.

“Open Door Policy” è un album incredibile, uno dei migliori registrati e prodotti dal gruppo nel corso della loro ventennale carriera. La band di Craig Finn è stata considerata sin dagli esordi apripista per un modo differente di intendere l’indie e un certo tipo di punk rock dai toni melodici, influenzati tanto dagli Husker Du quanto da Bruce Springsteen. I nostri, nel corso della loro carriera, hanno inciso sette album per label simbolo della cultura indipendente come Vagrant e Frenchkiss, mentre ora si apprestano al primo album autoprodotto per la loro Positive Jam. Craig Finn racconta: ‘“Open Door Policy” è forse il nostro album più espansivo. Il disco è stato scritto e registrato interamente prima che la pandemia iniziasse, ma i testi senza volerlo parlano di salute mentale e fisica, tecnologia, capitalismo, consumismo e di temi legati alla sopravvivenza tipici per gli strani giorni della pandemia che stiamo vivendo’.

L’inizio dell’avventura li vide sfornare dischi di un tipo di musica indipendente che riusciva a declinare diverse soluzioni, poi cominciò ad affiorare una certa perdita di freschezza e ispirazione, tanto che furono in molti a considerarli finiti, a maggior ragione a causa della carriera solista intrapresa dal leader. Ci fu poi, un paio di anni fa, un parziale riscatto che ha permesso di portare a termine questo lavoro che ce li riconsegna in palla come da tempo non li ascoltavamo.

Si riconoscono perfettamente i tratti distintivi del loro sound, un rock in cui il riff ha una certa importanza (“The Prior Procedure”), ma che sa accompagnarsi al pianoforte e pennellare note di organo quasi a ricordare gli anni settanta. Un rock che non disdegna di prendere spunto dal sud degli Stati Uniti, ma con una tradizione ‘Blue Collar’ alla Springsteen (“Riptown”) anche grazie ai fiati di matrice R’n’B.

L’indie non è del tutto assente, lo si percepisce in “Spices” con quei fraseggi magnetici e sciolti. Le atmosfere urbane si respirano in “Me & Magdalena”, una serenata tipicamente newyorchese, e nella notturna “Hanover Camera”.

Nonostante la presenza di alcune canzoni dal tiro molto accattivante e dall’airplay radiofonico, il marchio di fabbrica del gruppo è quello stile onesto che così bene sa interpretare Finn con il suo cantato verboso e riflessivo, ma che rappresenta, oggi, il limite più evidente di una band che non possiede più il seguito degli esordi, ma che è ancora in grado di offrire momenti spumeggianti ed avvolgenti quali “Family Man”, melodie che sanno scaldarti immediatamente come “Unpleasant Breakfast” e dipingere traiettorie oblique in grado di donare quell’imprevedibilità che non guasta mai.

Non imprescindibile, ma capace di farsi ascoltare grazie anche all’impegno che dimostrano sui temi d’attualità!!!


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