In alto le mani pronti ad applaudire la nuova fatica della Tedeschi Trucks Band, alfieri del suono sudista. Si tratta di un disco che ha avuto una gestazione difficile a causa dei diversi lutti e perdite che hanno colpito la band.
“Signs” è stato scritto da tutti i 12 membri del gruppo ed è stato registrato nello studio Swamp Raga, a Jacksonville, in Florida. Nell’album hanno partecipato anche Warren Haynes, Oliver Wood e Doyle Bramhall II. Il disco è stato scritto e registrato in seguito a una serie di tragiche perdite per la band, tra le quali la morte dello zio di Derek e membro degli Allman Brothers, Butch Trucks, i mentori Leon Russell e Col. Bruce Hampton e Gregg Allman.
Ad un primo ascolto sembra di essere di fronte ad un disco solista di Susan Tedeschi, ricco di soul con ballate dai tempi medi. Affermo ciò perché la voce e le sue melodie sono centrali nello sviluppo del lavoro.
Però se si presta attenzione si percepisce un lavoro collettivo in sede di arrangiamenti, sfumature sopraffine ed alcuni assoli di Derek che non possono lasciare indifferenti. Il lavoro dei fiati, le architetture tastieristiche, i cori danno l’idea che ci troviamo innanzi ad una grande band da collocare tra le imprescindibili formazioni che il sud degli Stati Uniti ha saputo donarci.
Forse “Signs” non ha l’impatto e la potenza del precedente “Let me get by”, ma non mancano i brani da ricordare e quelli che nelle esibizioni potranno dare lustro ai loro concerti.
Prendete l’iniziale “Sign high times” un soul-rock di impatto con ottimi impasti vocali tra Susan, Mattison e Alecia Chakour e un assolo alla sei corde che dimostra una volta di più che gran manico sia Trucks.
I nostri non si siedono sugli allori, ma continuano a sperimentare espandendo gli orizzonti. Prendete “Walk through this” la parte iniziale è indolente, ma intorno sono innestati fiati dal profumo e umore jazzistico, per proseguire attraverso uno sviluppo in cui tutti i membri della formazione sanno come comportarsi dietro i suggerimenti della Tedeschi che agisce quasi da direttore d’orchestra.
Ancora lei si rende protagonista donando un sapore di folk britannico a “Stregthen what remains” malinconica traccia in cui strumenti inusuali quali flauto ed archi sono il cardine sonoro. Ancora la signora Tedeschi si erge nel brano conclusivo “The ending” attraverso una esibizione per voce e chitarra acustica che rappresenta un tributo ed un attestato di stima per Colonel Bruce Hampton musicista che è stato la loro guida spirituale e musicale.
Analizzate nel profondo l’intreccio pianoforte sei corde acustica in “Still your mind” , sembrano indirizzare la composizione verso la ballata, invece è Derek a prendere il sopravvento lanciandosi in un furioso solo che trasforma il tutto in un poderoso pezzo rock.
Bello l’andamento sinusoidale che caratterizza “Shame” con la contrapposizione tra le accelerazioni della band ed i rallentamenti di Susan che sfociano in un R’n’B molto west coast.
Il singolo scelto per il lancio dell’album è “Hard case” che mi riporta alla mente quella splendida entità che furono Delaney & Bonnie”.
Forse per la prima volta dalla loro nascita sono riuscito ad apprezzare in pieno il lavoro di Susan Tedeschi, che avevo sempre considerato l’anello debole della catena, ma che in “Signs” da dimostrazione di essere musicista con i controfiocchi.
Personalmente continuo a preferire la Marcus King Band, ma non si può non affermare che la capacità di lavorare come band partecipando tutti al processo creativo, dalla composizione agli arrangiamenti, li rende unici e ci proietta l’immagine di un gruppo che sembra provenire da un altro tempo, più precisamente dall’inizio degli anni settanta quando la voglia di provare sonorità diverse ed improvvisare era il sale che rendeva speciale tanti dischi.
Il lavoro offre un segnale positivo per superare i momenti grigi che aleggiano sul nostro capo ogni giorno!!!


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