Da sempre oggetto di discussione tra coloro che li ritengono un gruppo che ha costruito la propria musica su di un’unica idea, per di più noiosa ed indigesta, e quelli che li ritengono portatori di una ventata di novità avendo spostato il baricentro del metal verso lidi avanguardistici.
Io credo che sia lecito che esistano entrambe le posizioni, perché nella loro arte le variazioni sono minime e non potrebbe essere altrimenti dato che la loro proposta si basa sulla ricerca della distorsione chitarristica e la vibrazione di riff giganteschi. Chi si lascia trascinare dal loro credo significa che ha gusti affini e medesima sensibilità. Oggi è il turno di “Life metal”, un’altra – nuova – impresa titanica per il duo del Northwest, alle prese con quello che è forse il loro disco più metal-oriented da diversi anni a questa parte.
Lasciate momentaneamente da parte le velleità avant di alcuni precedenti lavori, Anderson e O’Malley – con il collaboratore di turno Tos Nieuwenhuizen, eminenza grigia del post-punk olandese, qui al moog ed al sintetizzatore – si concentrano su un suono monolitico che prende le mosse dal black metal, ovviamente disossato dalle efferatezze ritmiche, riportando alla luce anche elementi doom e drone.
Tra gli altri collaboratori estemporanei segnaliamo Tim Midgett (membro storico dei Silkworm, al basso), Hildur Guðnadóttir al violoncello e l’avanguardista Anthony Pateras all’organo a canne.
I paesaggi che si materializzano sono plumbei, le dilatazioni sonore interminabili e, se possibile, maggiormente minacciose e capaci di dar vita ad una sensazione di malessere opprimente. La fruizione non sarà facile, ma l’album è da considerare come la prima parte di un lavoro che sarà composto di due capitoli, il cui secondo verrà pubblicato più avanti sempre in collaborazione con Steve Albini.
Consigliato solo per coloro che si ritengono affini al duo, astenersi tutti gli altri!!!


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