Nel 1976 quando iniziò il mio meraviglioso viaggio nel mondo musicale Santana era considerato musicista importante, i primi tre album opere innovative capaci di miscelare il rock ed il blues con influenze latine, successivamente intraprese una strada maggiormente spirituale introducendo elementi jazz nella sua musica, forse per il rapporto instauratosi con John McLaughlin oppure per le collaborazioni con Alice Coltrane. Purtroppo il primo disco a suo nome che ascoltai fu “Amigos” e quelle che furono le mie reazioni ve le lascio immaginare, per cui, a mio giudizio, il Santana da prendere in considerazione è quello che dagli esordi arriva fino al 1975!!!
Oggi decido comunque di parlarvi del suo nuovo lavoro dal titolo “Africa speaks” che promette bene fin dall’inizio con le parole di Carlos che afferma come ogni singola cosa sia stata concepita in Africa, la culla della civiltà. Altri fatti importanti per il giudizio sull’opera sono rappresentati dalla presenza di Rick Rubin in veste di produttore, il quale ha messo a disposizione della band i suoi studios, Shangri La a Malibu, per una decina di giorni. In tale periodo il nostro ha registrato 49 canzoni di cui undici sono finite sul nuovo disco.
La band è composta dalla moglie Cindy Blackman alla batteria, dal mostruoso bassista Benny Rietveld, dal tastierista David K. Mathews e, infine, dal percussionista Karl Perazzo.
Durante l’incontro preliminare tra il chitarrista e Rubin, Carlos ha chiesto espressamente un paio di vocalists femminili, più precisamente la cantante spagnola Buika, già candidata un paio di volte ai Grammy nella categoria musica latina e la cantante inglese Laura Mvula di origini centroamericane. Nel presentare la voce spagnola Santana si è lasciato andare a paragoni ingombranti con cantanti quali Nina Simone, Etta James, Tina Turner e Aretha Franklin: francamente affermazioni che mi sembrano fuori luogo.
Sicuramente Buika, che ha scritto anche i testi delle canzoni, ha un modo di cantare appassionato, potente e duttile, e un timbro ghiaioso e grezzo, quasi mascolino, per niente irregimentato dalle leggi del pop, che si adatta ad un disco intenso che si rifà alla psichedelica latin rock degli anni d’oro.
Il risultato è un lavoro che risulta di buon livello, non pasticciato e piacione e forzatamente seduttivo di quello dei progetti all-star, leggermente inferiore a “Santana IV” del 2016.
Analizzando il contenuto musicale la partenza è affidata al brano omonimo che ha un intro di percussioni ed un parlato del nostro che poi inizia subito a rendere protagonista la sei corde con improvvisazioni degne di nota, accompagnate dalle altre voci e dal piano di Mathews. Sembra un buon inizio.
“Botanga” ci riporta agli esordi, si tratta di un latin-rock anche se poi assistiamo ad un passaggio verso la musica africana, il canto però e un po’ in inglese e un po’ in spagnolo. Il momento migliore risiede nell’interplay tra la chitarra, con effetto wah-wah, l’organo ed il basso che dimostra sempre la sua eccellenza.
“Oye este mi canto” si basa su linee di basso molto funky in cui la voce della spagnola si prende la scena contorniata dagli altri cantanti della band fino al momento in cui il leader si lancia in un assolo ricco di note che si stempera nel finale dove assume forma più avvolgente ed onirica.
“Yo me lo merezco” è rock, di quelli solidi ed incisivi, un cantato che risulta ben calibrato da parte di Buika con un crescendo che ci conduce ad un insistito solo di chitarra con wah-wah che rimane protagonista anche nel brano “Blues sky”, traccia jazz-rock in cui si apprezzano le capacità della seconda voce femminile, ma soprattutto il gioco della sei corde e delle tastiere che danno origine ad uno dei momenti più alti del disco grazie alla sua mistica complessità.
Ancora il funky nella ritmatissima “Paraisos Quemados” con basso e chitarra che si alternano a creare riff spettacolari che riportano alla mente quel gran album che fu “Caravanserai”. Finalmente un pezzo di latin-rock, “Breaking down the door” in cui appaiono la fisarmonica, i fiati e le tastiere di Salvador Santana che dipingono atmosfere tex-mex e il buon Carlos che non risparmia la sua chitarra.
Pur non contenendo canzoni memorabili, né invenzioni fuori dall’ordinario, l’album convince per la forza delle performance, la carica ritmica, la furia gioiosa. Santana si mette alle spalle, insomma, le sue cose più pop e ammiccanti per incidere musiche radicate nella storia, ma non in modalità accattivante per un risultato appassionato e riuscito!!!


Category
Tags

No responses yet

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *