Cover album MICHAEL McDERMOTT- “What In The World”‘Nessuno, dal momento in cui ascoltai Springsteen cantare “Rosalita” mi aveva più entusiasmato a tal punto. Nessuno fino a Michael McDermott mi ha reso di nuovo così fottutamente felice di avere due belle orecchie’. In questo modo si espresse Stephen King al momento dell’uscita del terzo album omonimo del 1996 del ragazzo di Chicago.

C’erano già stati “620W. Surf” e “Gethsemane”, maggiormente scarno il primo, più elaborato il secondo, a far conoscere agli appassionati questo autore sensibile e delicato, ma capace di suscitare grandi entusiasmi. Contratto discografico arrivato prestissimo, un po’ di successo e poi la caduta lunga e lenta e la distruzione. Prigione, riabilitazione: ‘sei fortunato a essere ancora vivo, ragazzo’.

Sono passati sei anni ormai da quando si sedeva al bancone e il lucido candore di cui è pervaso “What in the World”, nuova fatica discografica del nostro, è la prova che l’ artista è ancora in gara. “Avrei potuto essere in gara” canta Michael e, nell’eroico contesto musicale, risulta più una celebrazione che un lamento: un imponente dito medio agli dei che lo avevano designato come il nuovo ragazzo prodigio tre decenni fa, per poi abbandonarlo singhiozzante al lato di una strada. È stata molto dura da allora, ma poi è venuto il giorno in cui Michael si è infilato dentro a una bottiglia e l’ha stappata con forza sopra la sua testa.

Sono ormai quattro anni che è ritornato tra noi mettendo in mostra un rock giocato sui contrasti tra fingerpicking di chitarra acustica e ruvide sonorità elettriche che lo pongono di nuovo tra i migliori esponenti odierni della canzone d’autore statunitense. È l’opera di un uomo che conosce sé stesso. Sanguinante ma indomito, è una cavalcata di emozioni e trame. Le chitarre richiamano ora Tom Petty, ora avvolgono con un caldo fingerpicking.

I musicisti sono meravigliosi: Michael (chitarra/basso/piano), Heather Lynne Horton (fiddle), Matt Thompson & Lex Price (basso), Grant Tye (chitarra), Will Kimbrough (chitarra/banjo), John Deaderick (piano/organo), Gill Stevenis & Fred Eltringham (batteria), & Rich (saxes), la produzione e nelle mani dello Michael.

La title track è rock fino al midollo e un inno politicamente carico per l’anno delle elezioni. Michael tralascia ogni delicatezza e ringhia sul “nuovo ordine mondiale, i muri lungo il confine, i bambini in gabbia, l’ordine esecutivo”. In “Blue-Eyed Barmaid” ci sono i ricordi dei tempi trascorsi sui banconi dei bar, ma i ruoli sono invertiti, è la bellissima barista depressa a riversare i suoi problemi sul cliente e non viceversa. Nel bellissimo pezzo “Die with Me”, guidato dal piano, Michael canta dello sprezzo e dell’esaltazione di fronte ai guai. “Contender” è una esplosione di fiati edi gioia assoluta. “Positively Central Park” è una piccola gemma da preservare con cura. Sono molte le sofferenze cantate nel disco, ma non si coglie mai il senso della sconfitta, non si sprofonda nell’oscurità, i personaggi sono stati vinti, ma non sono ancora morti, possono avere un’altra possibilità, come lui come l’autore.

Ci sono tanti grandi songwriters nel mondo, c’è posto pure per Mike, ha pagato i suoi debiti ed ora ci dona le sue toccanti canzoni!!!


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