MAGNETIC FIELDS- “Quickies”Sono passati ormai quasi trent’anni dagli esordi di Stephin Merritt, il quale non ha mai mancato di proporre dischi e progetti di pregevole artigianato pop, sia attraverso il proprio nome di battesimo, che con gruppi quali Future Bible of Heroes (in coppia con Chris Ewen), nell’esperimento collaborativo dei The 6ths, con The Gothic Archies e, naturalmente, con quella che è la più nota e principale ragione sociale, The Magnetic Fields.

Merritt era reduce dal mastodontico lavoro precedente, “50 song memoir”, un progetto autobiografico imponente, questo sembra essere una reazione completamente opposta a quello che lo ha preceduto. Ma in realtà, a ben guardare, ogni suo disco si è sempre posto in modo antitetico rispetto a quello venuto prima.

L’’opera, formata da 28 canzoni, s’intitola “Quickies” e, come suggerisce il titolo, è composta da episodi veloci, proprio come lo è il primo ad anticiparla, “The Day The Politicians Died”, che non arriva ai due minuti di durata; ma come lo è anche “Kraftwerk In A Blackout”, che fa 1′ e 50”. La nota stampa fa sapere che i pezzi si muoveranno da un minimo di trentacinque secondi ad un massimo di due minuti. «Ho letto un sacco di romanzi brevi e mi sono divertito molto a scrivere “101 Two-Letter Words”, il libro di poesie sulle parole più brevi che si possono usare a Scarabeo – scrive il compositore e autore dietro al progetto – Recentemente ho ascoltato un sacco di musica barocca francese suonata con il clavicembalo. Il clavicembalo non si presta al languore. Così ho iniziato a pensare a uno strumento alla volta, che suona per circa un minuto e poi si ferma e ho incominciato a scrivere testi lunghi solo un paio di strofe. Inoltre, ho iniziato a utilizzare un sacco di piccoli quaderni per appunti, così da avere solo uno spazio molto ridotto prima di arrivare in fondo alla pagina. Ora che sto già lavorando al prossimo album, mi sto sforzando di usare quaderni più grandi, così che non possa fare una nuova versione di “Quickies”».

Oltre a Merritt, che come al solito si divide fra molti tipi di strumenti, al progetto hanno collaborato Sam Davol (wine-box cello), Claudia Gonson (piano e percussioni), Shirley Simms (autoharp a tre corde, omnichord) e John Woo (chitarre). A loro si aggiungono amici e collaboratori di vecchia, data quali Chris Ewen (piano preparato, mellotron), Daniel Handler (accordion, celesta) e Pinky Weitzman violino). Nonostante un così vasto spiegamento di forze strumentali, non aspettatevi un suono pieno ed orchestrato, perché l’idea di base è stata quella di comporre pezzi che oltre alle voci fossero pensate per uno o pochi più strumenti in modo che risultasse una perfetta simbiosi tra la melodia e la timbrica dell’apparecchio musicale scelto. Il risultato sembra dare ragione al nostro in quanto le melodie escono portentose, riconoscendo anche il fatto che Stephin è un maestro di primissimo livello in questo ambito. In aggiunta a questo, c’è anche l’utilizzo di strumenti insoliti quali il banjolele, l’autoharp a tre corde ed altri che danno all’opera quella connotazione di artigianato pop davvero memorabile anche se insolita. Ci si perde tra i vari sentieri folk, synth-pop, R’n’R e pop psichedelico fino a quello barocco e da camera.

Consigliato caldamente, perché di autori come Stephin Merritt se ne trovano davvero pochi, così eccezionalmente unici!!!


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