Ecco il classico disco che ha attirato la mia attenzione per l’etichetta discografica, Blue Note, e per i colori della copertina dai toni in chiaroscuro. Di lei non avevo referenze, ma mi sono immediatamente documentato. Kandace Springs ha interessato l’etichetta creata da Alfred Lion e Francis Wolff con una versione di “I Can’t Make You Love Me”, una ballata resa famosa da Bonnie Raitt, poi interpretando Shelby Lynn su “Soul eyes” e aggiornando, su “Indigo”, “The first time ever i saw your face” da sempre associata a Roberta Flack. Onorare le donne che la hanno cresciuta ed arricchita musicalmente è sempre stata una sfaccettatura di Kandace. In “The women who raised me” lo svela pienamente rendendo dovuto tributo a tutte le figure femminili che la hanno influenzata consentendole di divenire l’artista che è oggi.

La Springs è una donna sensualissima che sa abbinare ad una voce alquanto personale tutta una serie di musiche che vanno dal soul, sia vecchia che nuova scuola, al jazz aggiornato ai nostri tempi, quindi imparentato con tutte le forme di black music. Per sua stessa ammissione la nostra dichiara l’influenza che hanno esercitato sul proprio bagaglio artistico cantanti quali Ella Fitzgerald, Sade ed Eva Cassidy, ma in realtà credo di poter affermare con sicurezza che sono molte di più.

In questo lavoro si fa aiutare in sede di produzione dal bassista ed ex-marito di Joni Mitchell, Larry Klein, ma un plauso va sicuramente a Don Was presidente della label che sta portando la Blue Note ad essere un punto di riferimento delle istanze sonore di oggi non solo nel campo della musica nera. La formazione che accompagna la cantante (e pianista, non dimentichiamolo) è di gran livello e vede la presenza di tre musicisti legati alle cantanti omaggiate nell’opera in questione, cioè il chitarrista Steve Cardenas (collaboratore di Norah Jones), il contrabbassista Scott Colley (con trascorsi al fianco di Carmen McRae) e il batterista Clarence Penn (in passato nella band di Diana Krall). In aggiunta un nutrito parterre di ospiti che citeremo durante la presentazione dei brani, che sono dodici.

L’apertura è affidata ad un tributo alla Krall con il pezzo “Devil may care” guidato da Christian McBride che fa letteralmente lievitare il brano. Si prosegue con la celebrazione di due regine del canto quali Ella Fitzgerald con “Angel eyes” in cui si assiste ad un duetto con Norah Jones, una della sue influenze formative, e Nina Simone con il pezzo “I put a spell on you” con la presenza di David Sanborn al contralto.

Poi è il turno di Sade e della traccia “Pearls” e qui assistiamo alla sentimentale tromba di Avishai Cohen capace di caratterizzare il brano come mai in passato. Finora abbiamo disquisito del ruolo degli ospiti, ma abbiamo taciuto della performance della leader. Siamo al cospetto di una voce importante, un’ ugola che non teme confronti oggigiorno. Le note che la Springs prende trasudano dimensioni romantiche e emozionalità interpretativa da pelle d’oca.

Viene ripresa “I Can’t Make You Love Me”, finalmente in una versione ufficiale e in modalità intimistica che vede la tromba di Cohen dispensare consolanti emozioni. Non si può tacere di “”Gentle rain” di Astrud Gilberto in cui il sax di Chris Potter riesce a donare un arricchimento senza stravolgere il brano. Per rendere onore a Roberta Flack si pesca il super classico “Killing me softly” , partenza convenzionale per poi travestirsi da soul ballad tutta sensualità e dolcezza.

La chiusura non poteva che essere “Strange fruit” di Billie Holiday, la canzone simbolo dell’arte e della coscienza sociale tutta al femminile. Essenziale e minimale con la Springs al piano elettrico tutta tesa a dare la giusta interpretazione di quel sofferto capolavoro.

La Nostra Kandace è nel suo elemento naturale e, pur interpretando brani altrui, li sa rendere con passionalità e originalità. Sempre più affascinate, è, forse, nata una nuova stella???


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