Cover album JOHN ANDERSON- “Years”Mi capita spesso di soffermarmi a cercare il nome del produttore quando osservo la copertina di un disco, spulciando tra i credits per carpire quante più notizie possibili che riguardino l’album in questione. Durante gli anni ottanta, all’incirca intorno alla metà di quella decade, quello che riscuoteva maggiori successi era Jeff Lynne ed il suo suono che prevedeva sempre una cascata di chitarre acustiche di contorno agli arrangiamenti scelti. Poi fu il turno del grande T-Bone Burnett (peraltro ancora molto richiesto così come il suo discepolo Joe Henry). Oggi la palma di più ricercato va divisa equamente tra Dave Cobb e Dan Auerbach, cantante e chitarrista dei Black Keys. Il buon Dan non solo ha avviato una carriera in proprio, ma gli ha anche affiancato quella di producer e pure di talent scout grazie a doti naturali che gli permettono di ottenere i suoni giusti a tutti coloro che ne richiedono le prestazioni. Tra gli ultimi che hanno usufruito dei suoi servizi c’è Marcus King ed ora invece si cimenta con un veterano quale John Anderson. John è un countryman della Florida che non ha grandi riscontri da noi, ma in America è un autentica leggenda e in attività da oltre quarant’anni.

Ormai gli anni cominciano ad accumularsi anche per John, ne ha trascorsi tanti ‘on the road’ soprattutto nei suoi anni di gloria, gli eighties, in cui ad ogni disco uscito corrispondeva una tournee. Poi sono sopraggiunti problemi di salute all’inizio della scorsa decade per cui ha diradato di molto l’attività per potersi ristabilire in serenità. Improvvisamente un gran colpo di fortuna si materializza nella persona di Dan Auerbach che si avvicina ad Anderson quale fan, in seguito come produttore e titolare degli Easy Eye Studios di Nashville, collaborando con lui alla stesura dei dieci pezzi che compongono “Years”. Sono stati messi a disposizione dell’anziano cantante i soliti musicisti, tutti in possesso di un pedigree eccellente (Stuart Duncan, Gene Chrisman, Bobby Wood, Ronnie McCoury, Dave Roe, Charlie McCoy, Russ Pahl e Mike Rojas), però le composizioni sono tutte scritte dalla penna di Anderson, che, stimolato da Dan, ha messo sul piatto brani di notevole qualità, come da tempo non gli accadeva. Puro country classico, suonato e cantato in maniera impeccabile (Anderson ha ancora una grande voce), un album che alterna ballate a brani più mossi ma con tutti i nomi coinvolti al top della forma: il CD dura appena 32 minuti, ma è una mezz’ora pressoché perfetta.

In tutto l’album sono chiare le allusioni alla sopravvivenza, ma non lo definirei un lavoro ‘confessionale’. Il suo è un tentativo di trasformare il personale in universale, suona riflessivo, grato di essere ancora qui a cantare canzoni e abbastanza saggio dal riversare luce e speranza nei vari passaggi. Gran parte della dolcezza che si riversa nel suono è dovuta alla scelta del chitarrista dei Black Keys di dare un tocco che contemplasse tanto il progressive country che si cominciò ad ascoltare all’alba dei seventies quanto il classico barroom country specialità di John. Questo porta al fatto che rispetto a quanto prodotto in passato, “Years” risulta più arrangiato, ma il tappeto di chitarre e tastiere danno al cantante la possibilità di cimentarsi con un ricco ventaglio di sfumature.

Capolavoro minore della discografia del buon Anderson e uno dei migliori album di country classico uscito in questo 2020!!!


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