JOAN OF ARC- “Tim Melina Theo Bobby” cover albumDopo una leggendaria carriera lunga 25 anni, i Joan of Arc di Tim Kinsella (Cap’n Jazz, Owls, American Football) danno alle stampe l’album di commiato, “Tim Melina Theo Bobby”, uscito il 4 dicembre via Joyful Noise. Come il titolo lascia intendere, il disco è stato scritto e registrato dall’attuale formazione, ovvero Melina Ausikaitis, Bobby Burg, Theo Katsaounis e Tim Kinsella, e vede, inoltre, le collaborazioni di Jeremy Boyle, Jenny Pulse, Nate Kinsella e Todd Mattei. L’uscita è stata anticipata dal singolo “Destiny Revision”, un brano atmosferico ed emozionale per chitarre folkish e brumosi rumorismi, accompagnato da un clip composto da foto scattate da Burg durante i vari tour con la band.

Per 25 anni, Tim Kinsella ha guidato la sua band attraverso una moltitudine di cambiamenti: i membri sono andati e venuti, e il suono del gruppo si è evoluto e (occasionalmente) devoluto di proposito. Ora, con l’uscita del nuovo lavoro, Kinsella sta portando a termine il progetto. Intitolato con il nome dei musicisti che compongono la formazione finale di Joan of Arc, il LP è un elogio appropriato per la band che funge anche da punto di ingresso nella loro discografia tentacolare. L’album inizia con l’emo di ispirazione indie e elettronica che caratterizzava il gruppo a metà degli anni ’90 (“Destiny Revision”), ma, man mano che l’album progredisce, si sviluppa verso i pezzi sperimentali d’avanguardia (“Rising Horizon”) che la band ha privilegiato negli ultimi dieci anni.

Alla fine, “Tim Melina Theo Bobby” non è né un’elegia cupa né una celebrazione gioiosa. Invece è alle prese con l’amorfa intrinseca a Joan of Arc. Nell’album più vicino “Upside Down Bottomless Pit”, Kinsella espone le opinioni di lunga data della formazione sull’arte: ‘Non ci sono gradinate / Non ci sono margini / Non ci sono limiti’. Per più di due decenni, i nostri sono stati un’istituzione di Chicago dedita a infinite espansioni creative e a una spinta incrollabile per la realizzazione artistica. Sebbene non abbiano mai designato nulla fuori limite, a quanto pare avevano un timer che faceva il conto alla rovescia in sottofondo per tutto il tempo.

Joan of Arc non è una vittima del 2020 allo stesso modo delle vite perse e delle attività commerciali chiuse a causa della pandemia, ma la loro rottura sembra parte di quel momento più grande a prescindere: stiamo vedendo il tessuto di Chicago cambiare davanti ai nostri occhi. Nel corso della loro carriera, la band è arrivata a rappresentare la cultura indie-rock indipendente dal genere di un’epoca passata, rendendoli la fine del loro tempo e luogo specifici. Il loro lavoro continuerà a vivere, anche quando la Chicago che li ha promossi e che sono cresciuti fino a incarnarla è ormai lontana.

L’apertura è affidata ad una ballata onirica quale “Destiny Revision”, per poi proseguire con una canzone dalle sembianze di filastrocca electro-pop-psichedelica che, in chiusura, lascia spazio ad una chitarra noise (“Something Kind”), ancora una ballata di stampo indietronica (“Karma Repair Kit”). C’è spazio per un pezzo di impronta tastieristica, aereo e sognante, che si appoggia su ritmiche elettroniche (“Creature and Being”) e per uno strumentale in cui i synth dipingono le linee melodiche supportate da una ritmica solida (“Land Surveyor”).

Un commiato poco autocelebrativo e che non si lascia andare al manierismo, ci mancheranno!!!


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