Penso tutti conosciate l’importanza dell’etichetta indipendente Dischord, fondata a Washington D.C. Era il punto di riferimento per quel suono hardcore di tipica e stretta osservanza stelle e strisce, la casa di gruppi quali Minor Threat, Fugazi, Embrace, Teen Idles (Ian MacKaye, il fondatore, ha fatto parte di tutte le quattro band citate), Rites of Spring, Nation of Ulysses, Gray Matter e Dag Nasty. Aspetto non trascurabile un’etica strettamente “fai-da-te” (do-it-yourself), producendosi i dischi e gestendo la distribuzione da sola. Anche la registrazione e la produzione dei dischi è quasi sempre avvenuta (fin dagli albori dell’etichetta) nello studio personale e molto casalingo di MacKaye e Nelson: gli Inner Ear Studios. Interessante anche la “politica” dell’etichetta, basata su prezzi imposti dei dischi, ristampe continue (per evitare rarità), e la decisione di produrre solo band provenienti dall’area D.C.
Questa lunga introduzione per rendervi partecipi della prima uscita a proprio nome di J Robbins, a torto o a ragione, considerato il padre del movimento post-hardcore, quello che caratterizzò la seconda fase dell’attività della Dischord, che lui ben rappresentò con la sua creatura, i Jawbox, e con un lavoro “For your own special sweetheart” che stranamente venne inciso per una major, la Atlantic, nel 1994. Fu anche produttore nel disegnare le coordinate dell’emocore per gruppi quali Dismemberment Plan, Hey Mercedes, Promise Ring. Ancora tanta attività con propri gruppi a suo nome. Una famiglia ed un figlio, purtroppo, affetto da atrofia muscolare spinale che gli da la ragione per continuare a combattere e resistere.
Oggi è giunto il momento di dare alle stampe un disco solista, e questa volta esce per la Dischord. È un parto su cui il nostro ci ha lavorato per quattro anni, ha avuto una gestazione travagliata tra momenti di intenso impegno ed altri in cui ha pensato di accantonare i pezzi scritti.
Per la prima volta ha avuto l’idea di scrivere brani più diretti, quando in passato spesso i testi erano surreali e le parti di chitarra complesse. Sembra si dia maggior importanza alla melodia, a liriche più comunicative. Ora non è che le abrasività siano del tutto scomparse, la chitarra sa ancora graffiare, ma al centro si percepisce una gran voglia di essere propositivo e positivo.
La doppietta iniziale, “Anodyne” e “Abandoned mansions”, colpisce melodicamente, ma sa farsi sentire come un bel colpo al volto. Testi sempre importanti come nel pezzo “Our own devices” in cui si toccano argomenti di come l’era digitale ha modificato per sempre le reazioni umane. Le sonorità sono oblique e non carezzevoli.
Ancora attualità con “Firelight”, dove si consiglia di bruciare la bandiera per andare contro Trump, scritta durante le ultime elezioni. Le sonorità accelerate ed urticanti che caratterizzano “Citizen” sono una dichiarazione di intenti di come si caratterizzi la sua nuova incarnazione musicale. C’è spazio ancora per la sua passione nei confronti degli XTC e del loro pop sbilenco, che riconosciamo in tracce quali “Un-becoming” e “Skeleton coast”.
J Robbins dimostra ancora tanta voglia di resistere, combattendo il mondo non solo con la furia, ma pure con la melodia!!!


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