HONEY HARPER  “Starmaker”La copertina ci presenta un efebo con lunghi capelli biondo platino, cappello da cowboy in testa abbinato agli occhi decorati di strass, non si sa cosa aspettarci da un disco così. Sicuramente non è lo stereotipo del cowboy macho quello che ci appare, quanto quello che attinge dall’estetica del queer country revival, sulle orme di quanto fatto da Orville Peck, Paisley Fields e Lavender Country.
“Starmaker” segna il debutto di Honey Harper, all’anagrafe William Fussell, cantautore americano che nel 2017 aveva dato alle stampe un EP dalle tinte country dopo anni di art-pop e shoegaze. Il nuovo disco, scritto assieme alla moglie Alana Pagnutti, è stato registrato in ben tre anni tra Francia, Ungheria e Inghilterra grazie anche alla co-produzione di Katie O’Neill.
Nelle parole di Harper, il nuovo lavoro suona come un «honky-tonk celestiale capace di combinare la già famosa ideologia della cosmic american music coniata da Gram Parsons con un’estetica adeguata…una raccolta che ricorderà Apollo di Brian Eno e i più grandi successi di George Jones». La musica si presenta colma di eleganti arrangiamenti di archi, armonie delicate e steel guitars in grado di avvolgerci nella loro morbidezza. La voce usa la delicatezza per farsi conoscere che unita ad una spiccata attitudine per la melodia riesce nello scopo che si è prefisso cioè far riconoscere la bellezza verso un qualcosa che, a prima vista, si sarebbe tentati di rifuggire.
La strumentazione utilizzata non è quella classica per il genere, infatti abbondano archi e, soprattutto, sintetizzatori, ma è funzionale allo scopo di presentare un suono unico e personale, diafano e spaziale, in una parola affascinante.
Fussell è in grado di passare dai falsetti alle note basse in pieno stile crooner anni ’60 (“In the Light of Us”, “Tired Tower” e “Tomorrow Never Comes”). Non mancano le eccezioni, come la malinconica interruzione orchestrale di “Suzuki Dream” a metà del disco e, soprattutto, la title track a chiusura dell’album: brano in cui le atmosfere create da eterei synth rimandano alle soundtrack di “Apollo” di Brian Eno, mentre la voce sussurrata di Harper sembra rimanere sospesa fuori dal tempo e dallo spazio, prendendo vigore nei ritornelli finali grazie al sostegno degli archi.
Honey riesce nell’intento di far piacere il country anche a chi non ne vuole sentir parlare, si dimostra artista dalle mille sfaccettature, che riesce a passare dall’avant-pop al country, non rinunciando però a portare con sé il repertorio delle sonorità dreamy che lo ha accompagnato durante la sua carriera.
Un disco che si pone tra passato, i suoi ricordi e le sue emozioni, attraverso strutture e atmosfere tipicamente country e presente con sonorità di matrice dream-pop, tipiche del repertorio del chitarrista statunitense e a cui avevamo imparato ad associarlo per la sua esperienza come frontman dei Mood Rings.
Un lavoro che si pone molto in alto tra gli ascolti di quest’anno e che potrebbe confermarsi quando sarà tempo di stilare dei bilanci sull’annata musicale trascorsa!!!


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