FLAT WORMS- “Antarctica”Pubblicato via Drag City, “Antarctica” è il secondo album dei Flat Worms, band di Los Angeles composta da Will Ivy (voce e chitarra), Justin Sullivan (batteria, già nei The Babies) e Tim Hellman (basso, già nei Oh Sees e Sic Alps). Il disco è composto da undici tracce che si assestano su un garage-rock di stampo californiano. Nei loro lavori precedenti, l’esordio omonimo e l’ EP “Into The Iris”, avevano messo in chiaro uno stile votato ad un garage rock con pennellate di post punk energico e abilmente suonato, che avevano poi brillantemente portato in giro negli Stati Uniti, nel Regno Unito e in Europa con esibizioni live sempre coinvolgenti.

Il loro ritorno con questo album “Antarctica”, registrato da Steve Albini nel suo studio Electrical Audio di Chicago (ma c’è pure la mano di Ty Segall, già produttore dell’esordio), non ci mostra nulla di nuovo, il loro sound solido mostra i muscoli come fanno le band rock e testi in cui una visione nichilista, (ecco il punk) e disperata del mondo e dell’ attuale situazione economica, politica e ambientale, fanno da cornice alla inevitabile autodistruzione del genere umano.

Come detto il loro è un punk dalle forti tinte garage, ma mai eccessivamente feroce anche se metallico e rumoroso il necessario. L’aspetto vocale, nelle corde di Ivy, è un talkin’insistito, lontano dal pop, ma in grado di coinvolgere l’ascoltatore. L’album è stato preceduto da due singoli, il primo “Market Forces” , che parte con chitarra e batteria e la voce misurata di Will Ivy e si sviluppa in un pezzo post punk e il secondo, “The Aughts”, che apre anche il disco, e che è un bel pezzo, forse il migliore di questo lavoro, con una stupenda chitarra che si lascia andare in assoli psichedelici e intriganti, e un testo sulla caducità di ogni civiltà passata e presente. Subito dopo si è investiti da un post hardcore che rimanda ai Sonic Youth (“Plaster cats”), mentre con la title track si abbassa un po’ il ritmo, basso che guida e chitarra che riempie con pochi accordi, mentre il testo ci dice dove forse è meglio trasferire la residenza…ovviamente nel luogo che da il titolo al lavoro.

Il resto rimane ancorato alle coordinate appena esposte, quindi l’insieme di garage punk-rock e cantato post punk. Si arriva così al termine con il pezzo “Terms of visitation”, in grado di lasciare il segno con il suo riff killer, il ritmo incalzante e la chitarra che domina il brano.

L’album si va a collocare nella linea di quelle raccolte in cui la parte cantata viene sostituita da un recitato o un mezzo cantato in stile vecchio punk, che ha fatto la fortuna di molte band più o meno recenti. Se questa caratteristica vi attrae da sempre non fatevi scrupoli a farlo vostro, anche se credo che la sua dimensione più consona sia quella sul palco!!!


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