Ed eccomi ancora una volta a New Orleans, a raccontare una storia che ha a che fare con la piacevolezza della musica come solo nella Big Easy sanno preparare. Probabilmente il nome di Carlo Ditta non vi dice nulla, a me ricorda la gioia di vedere finalmente stampato un disco di Willy Deville dopo almeno tre anni di difficoltà con le case discografiche e personali.
Ditta ha messo la sua impronta in ambito musicale con il brano “Pray” che fu votata “Best Gospel Song” all’ American Song Festival nel 1970. Fu poi portata al successo da Mighty Sam McClain e grazie a ciò Carlo inizio la sua brillante carriera di produttore. Cercò di proseguire l’attività di songwriter a New York, Nashville e in California, ma il richiamo di New Orleans fu troppo forte, così si concentrò nell’aiutare musicisti reietti a incidere ed ottenere brillanti riconoscimenti. Mi piace ricordare, tra i tanti, Danny Barker per l’album “Ham & Eggs”, Guitar Slim Jr. per cui ottenne una nomination al Grammy per “Story of My Life”, Willy Deville per Victory mixture” che vinse un disco d’oro in Francia, Marva Wright e Lenny McDaniels dei quali produsse degli album per la Virgin Records, oltre, naturalmente, tutti quelli di cui si occupò per la propria label, la Orleans Records, tra cui Coco Robicheaux, Little Freddie King e il “Presidente del soul” Rockie Charles.
Dopo tante produzioni è tornato il momento di far sentire la propria voce facendo uscire il suo secondo lavoro solista dal titolo “Hungry for love”. Il disco si muove nel solco della musica del sud della Louisiana mischiando il R’n’B ricco di influenze soul con il folk-rock, il cajun con il reggae e il latin con il blues rimanendo legato al suo habitat naturale, nonché a quello di Deville. Il disco contiene cinque pezzi autografi, mentre la rimanente parte del programma riguarda reinterpretazioni ricche di immaginazione e nuovi colori di classici regionali e canzoni tradizionali.
La traccia che rende giustizia al nostro è il brano finale, una cover di una quasi irriconoscibile versione di “The house of the rising sun” la cui resa è un condensato di tutti gli umori presenti nella Crescent City, tra voodoo soul, folk-rock ed improvvisazione tipico di chi è abituato ad esibirsi nei localacci del French Quarter.
“Pass the hatchet” richiama il mio amato Willy anche se all’inizio i sibili notturni, l’andamento strascicato e voodoo è tutto il Dr. John di “Gris Gris”. La strumentazione alle spalle vede un combo suonare uno swamp-rock shakerato con il funky dando origine ad un suono ad alta carica sensuale. L’atmosfera paludosa si ripete nuovamente in “Life in heaven” con tastiere melmose e chitarre sullo sfondo e una voce che rimanda a Tom Waits. Il brano omonimo, dalle cadenze notturne, ricorda lo stile di Tony Joe White. Ad accompagnarlo una serie di musicisti del sottobosco neorlinsiano che suonano come meglio non si potrebbe.
Un disco che dimostra profondo amore per la materia, non un capolavoro, ma ciò di cui abbiamo bisogno per riconciliarci dalla frenesia che ci circonda!!!


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