Stavo rientrando a casa con mio figlio, i campi innevati ed una pace irreale si stagliava attorno alla mia auto. Ero all’ascolto di un cd sampler quando iniziano le note di un pezzo di Springsteen tratto dal concerto tenuto a Broadway.
La mia mente corre impazzita indietro nel tempo, a quei primi anni ottanta quando per la prima volta mi capitò che una persona mi parlasse di lui. Lo fece con tale entusiasmo e trasporto, in relazione ad un concerto che aveva appena visto in Francia che faceva parte della tournee di “The river”, che non potei far altro che andare a comprare l’album in questione. Ne fui colpito, non tutto mi piacque allo stesso modo. Fui favorevolmente impressionato dalle ballate un po’ meno dai pezzi uptempo. Avevo la certezza di essere di fronte ad un artista non comune, per cui in poco tempo completai la sua discografia che al momento consisteva di cinque dischi. Nel 1982 usci “Nebraska” che chiudeva idealmente i primi dieci anni di carriera del “Boss” quelli che costituiscono la fase più pura ed inattaccabile del suo percorso artistico.
Era un autore, che per la musica proposta, risultava fuori dal tempo, così romantica, espressiva e sofferta, ora ricca strumentalmente in altri casi più spoglia ed intimista. Le esibizioni live erano un concentrato di pura energia e coinvolgimento, simbiosi perfetta tra musicisti e pubblico.
Ho avuto difficoltà a scegliere quale lavoro presentare, poi la decisione è caduta su “Darkness on the edge of town”. Un’opera che sento mia fin nel profondo, tutto mi piace a partire dalla copertina che vede il nostro raffigurato in modo molto simile ad Al Pacino nel film “Quel pomeriggio di un giorno da cani”.
Come saprete il disco uscì nel 1978 a tre anni di distanza da “Born to run”. Non fu un momento piacevole quello intercorso tra i due lavori. Dopo le lodi e le copertine di “Newsweek” e del” Time” che lo innalzano alle stelle qualcosa si inceppa, iniziano i dissapori con il manager Mike Appel che non si rassegna ad avere la fetta più piccola di una torta che sta diventando sempre più appetitosa. Entrano in ballo avvocati, tribunali che emanano una sentenza che intima a Bruce di non entrare in uno studio di registrazione finchè la questione non sarà risolta.
Il nostro non sa come andare avanti, vende quasi tutto quello che aveva ottenuto con il successo del lavoro precedente. Non smette però di scrivere, dona pezzi a Patti Smith (“Because the night”), a Robert Gordon (“Fire), all’amico Southside Johnny (“Heart of stone”) e a Gary U.S. Bonds (“Rendezvous”). “Darkness” prende vita a Los Angeles, dove Springsteen si presenta con una tale quantità di canzoni formidabili da ritenere che alcune non siano all’altezza di essere pubblicate. In compagnia di Jon Landau (co-produttore), di Jimmy Iovine (ingegnere del suono) e di Chuck Plotkin (mix) regala innanzitutto una nuova identità alla E Street Band. In “Born to run” il suono era compatto come se la formazione suonasse come un unico strumento, solo il sax di Clemons e la voce si elevavano su un tessuto consistente come la roccia. Ora c’è spazio per il soul regalato dalle tastiere e dal piano di Federici e Bittan, ora una sezione ritmica unica della quale la chitarra di Little Steven è il terzo perno ed ora, soprattutto, la chitarra di Bruce, capace di assoli lancinanti, essenziali, sprovvisti della tecnica di un virtuoso ma originalissimi, certe volte perfino geniali.

Non si vuole, ancora una volta, rincorrere il sogno, piuttosto si esplora la delusione del vedersi sottratto quel poco che si è ottenuto. I suoni sono aspri e scuri nei brani come “Adam raised a cain”,“Streets of fire”, “Prove it all night” e “Badlands”. Le autostrade e le automobili non simboleggiano più la fuga, ma esprimono le caratteristiche di tanti personaggi comuni che, per la prima volta, il rock tenta di elevare ad eroi, i cosiddetti “Beautiful Losers” che vengono inquadrati senza pietà nelle difficoltà del quotidiano, che si piegano, ma non si spezzano, vogliono andare oltre e non arrendersi.
“Darkness” è album in cui il tono, il suono, i testi hanno un senso corale, definiscono un momento nel tempo perché solo l’insieme delle singole canzoni riesce a trasmettere il messaggio dell’autore. È un’opera aspra e dolente, ma possente nel suono e nei testi.
L’ottimo esito del disco porta Bruce ad iniziare una tournee che lo innalzerà alle stelle. Quei concerti sono il momento più alto di tutta la sua carriera e sono immortalati su tanti supporti fonografici con copertine ed etichette differenti. Vi consiglio di cercarli, potrebbero cambiare le vostre esistenze come accaduto a tanti che ebbero la fortuna di vederli!!!


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