Prodotto da Al Kooper. Con un titolo come “Super Session”, Bloomfield, Kooper e Stills puntano davvero in alto, considerando che una sessione perfetta non è una cosa che si possa pianificare.
Solo quando il tempo, lo spazio ed il pubblico ci mettono del loro, quando la fortuna gioca a favore e quando tutti i musicisti hanno una buona giornata, allora è forse possibile immortalare un momento musicale davvero magico. Senza dimenticare i tecnici del suono che pure devono essere dell’umore giusto!
Questa rara concomitanza di fortunati eventi si è verificata durante la registrazione della maggior parte dei 9 brani contenuti nel disco, uscito originariamente per la Columbia Records nel 1968, “Super Session” che comprende tra gli altri “Season Of The Witch” (Donovan), “You Don’t Love Me” (Willie Cobb) ed il classico di Bob Dylan “It Takes A Lot To Laugh, It Takes A Train To Cry”.
In generale si può dire che i brani più belli sono quelli con Steve Stills, tracce in cui l’interazione tra i musicisti raggiunge livelli davvero molto alti con gli interpreti che s’influenzano a vicenda. Nella super session con Kooper e Bloomfield, il chitarrista è spinto in primo piano, mentre gli altri musicisti rimangono sullo sfondo. In più di un’occasione in questo disco i tre artisti riescono addirittura a superare i momenti più indimenticabili che li hanno visti protagonisti insieme ai loro rispettivi gruppi ossia Kooper con i Blood, Sweat & Tears, Bloomfield con gli Electric Flag e Stills con i Buffalo Springfield.
L’album è suddiviso in due facciate, la prima delle quali vede come protagonisti pressoché incontrastati i personaggi di Al Kooper (New York, 5 febbraio 1944), rinomato ed apprezzatissimo tastierista / cantante / polistrumentista / produttore, sia collaboratore per conto di artisti di primissimo rango come Bob Dylan nel fondamentale suo album del 1965 “Highway 61 Revisited” sia scopritore di nuovi talenti (in primis quel Carlos Santana appena diciannovenne, proveniente dalla sempre viva fucina californiana, tenuto ufficialmente a battesimo nel pezzo “Sonny Boy Williamson” dell’album “Live Adventures of Mike Bloomfield & Al Kooper” del 1969), nonché membro dell’ensamble blues Blood, Sweat & Tears e del chitarrista blues Mike Bloomfield (Chicago, 28 luglio 1943 – San Francisco, 15 febbraio 1981), proveniente da quel “melting pot creativo” quale era la Chicago di metà anni Sessanta, sede principale del già menzionato “Blues Revival”, anch’egli rinomatissimo sessionman per conto di Dylan (sempre in “Highway 61 Revisited”) e del bluesman americano Paul Butterfield (da cui la famosa The Paul Butterfield Band) e membro di spicco del supergruppo The Electric Flag, da cui proviene, tra l’altro, il bassista Harvey Brooks (altro importante collaboratore di Dylan medesimo) con, infine, il giovane misconosciuto batterista Eddie Hoh. La prima parte è un duello tra le tastiere e gli arrangiamenti dei fiati di Al e la chitarra rovente di Mike, che si danno battaglia in chiave strumentale, in cui il meglio è da ricercare nel brano “His Holy Modal Majesty”. Non si risparmiano i due, con Bloomfield che ricava dalla propria “amata” Gibson Les Paul (versione Gold) note e scale ben assestate come sciabolate sul tessuto sonoro.
La seconda facciata, forzatamente imposta dalle precarie condizioni psicofisiche di Bloomfield (sofferente di insonnia, ma in realtà già preda a quegli eccessi di eroina che lo condurranno purtroppo alla morte nel 1981), vede invece come “subentrante” la figura nondimeno importante del grande Stills, che spingerà le sonorità del disco verso ambientazioni smaccatamente Country/Rock, ma con numerosi riferimenti al filone psichedelico. Il picco è raggiunto da “Season Of The Witch”: in questo pezzo assistiamo, infatti, grazie alle penetranti incursioni tastieristiche (e di organo Hammond) di Kooper e alla chitarra wah-wah di Stills qui in versione, diciamo, “demoniaca”, ad un percorso verso la psichedelia più nera in cui a momenti più “tranquilli” si alternano esplosioni sonore da paragonare ad un vulcano in eruzione.
Nel 1968 la rivista Rolling Stone giudicò “Super Session” come una delle migliori uscite dell’anno: un riconoscimento che è del tutto comprensibile ascoltando il disco che, ancora oggi, dimostra la sua qualità, ma soprattutto è la testimonianza di un periodo indimenticabile!!!


Category
Tags

No responses yet

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *