Chicago è una delle città più belle degli Stati Uniti, purtroppo divenuta invivibile a causa di un elevato tasso di delinquenza. Musicalmente è uno dei punti cardine al di la dell’atlantico, jazz, blues, soul e rock alternativo fanno della capitale dell’Illinois un luogo da non mancare se siete degli appassionati di musica.
Billy Branch è apparso sulle scene come il “new kid on the block”, il nuovo ragazzo del quartiere. Fa decisamente parte della seconda generazione dei Bluesmen di Chicago e la sua armonica, decisamente radicata nella tradizione stilistica della Windy City, è stata registrata su più di 150 opere. Nato William Earl Branch, nel 1951, è stato scoperto da Willie Dixon, il “padre del moderno Chicago Blues” mentre Billy era ancora al college. Branch ricorda molto Junior Wells. Ha un fraseggio minimale, ritmicamente vivace e dritto al punto. Non è un armonicista che insegue le orme dei due Walter (Big e Walter), ma preferisce – come dichiara in un’intervista – ispirarsi allo stile di Wells, puntando sull’efficacia, piuttosto che sull’articolazione delle frasi.
Si destreggia tra armonica acustica ed elettrica senza, tuttavia, cercare un sound troppo saturo o distorto. Questo tipo di approccio all’amplificazione crea un risultato sonoro che ricorda, appunto, il primo Junior Wells (elettrico) con qualche eco di Snooky Pryor – altro importante nome di Chicago. Nonostante l’ispirazione venga da altri, sembra giunto il momento di tributare uno dei più grandi armonicisti blues di tutti i tempi, Little Walter, colui che è considerato per lo strumento al livello che furono giudicati Hendrix per la chitarra, Charlie Parker per il sax e Tim Buckley per la voce, un pioniere.
Forse un tale disco può denotare una mancanza di idee visto che i pezzi vengono dal repertorio di Marion Walter Jacobs, da lui scritte oppure rese famose. Il disco in questione esce per la Alligator e vede il nostro alla voce ed armonica, Andrew “Blaze” Thomas alla batteria, Sumito Ariyoshi alle tastiere, Marvin Little al basso e Giles Corey alla chitarra. La rilettura che il gruppo esegue è impeccabile, puro Chicago blues, ma non si scade nel già sentito grazie a dosi potenti di soul-funk e persino rock.
Il lavoro inizia alla grande con “Nobody but you”, “Roller coaster”, sono due brani che non si fanno attendere, ti travolgono con un feeling in dosi massicce. “Hate to see you go” ha un andamento classico, suono potente e diretto senza tanti arzigogoli.
“Blue & lonesome” è l’esempio perfetto di come suoni il gruppo, c’è l’esperienza di chi si diletta in questo campo da anni, una conoscenza enciclopedica ed una forza che mi fa affermare che da tempo non ascoltavo un lavoro di blues elettrico così coinvolgente. Prendete “My babe” sembra di essere nella Chicago del periodo d’oro della Chess, l’armonica ed il piano che si caricano sulle spalle la canzone, oppure “Last night” che assume i contorni classici quasi in misura maggiore di quella che ne era la versione originale.
È così per tutto il disco, una dichiarazione d’intenti e di passione nei confronti di un periodo e di un suono che risulta essere ancora molto caro agli appassionati della “Musica del Diavolo”. Se non fosse per il fatto che si tratta di un tributo, lo porrei quasi come disco fondamentale da avere, tra i tanti classici di questa musica così appassionante.
Proseguendo nell’ascolto incontriamo “Keys to the highway”, un altro masterpiece senza tempo, esecuzioni di pezzi che non ci danno respiro tra cui vorrei citare “One more chance with you” in cui possiamo deliziarci con lo splendido lavoro di Ariyoshi al piano, un vero talento sullo strumento e “You’re so fine” una traccia da tramandare ai posteri.
Il blues non vive un momento di grande creatività, per cui è un bene che escano siffatti lavori che denotano purezza, suonati con il cuore e che rimarranno a lungo!!!


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