AZITA- “Glen Echo” cover albumAzita Youssefi è un nome che mi lega ad una stagione musicale di profondi cambiamenti avvenuta negli ascolti. Era intorno alla metà degli anni novanta che mi sentivo leggermente annoiato dall’ascoltare generi musicali vari, ma sempre legati ad un formato classico, per cui grazie all’aiuto di alcune riviste mi sono avvicinato a certe forme di composizione che esulavano dal formato canzone per addentrarsi in sonorità nuove, stimolanti e coinvolgenti.

Tra i tanti dischi dei quali venni in possesso, ci fu anche uno che riguardava le Scissor Girls, gruppo di cui faceva parte pure Azita assieme alla batterista Heather Melowicz. “We People Space With Phantoms” (Atavistic, 1996), unico loro album, imbastì misture schizofreniche di punk, funk, elettronica d’avanguardia e sessioni improvvisate. In seguito la Youssefi, assieme a due chitarristi, formò i Bride of No No che pubblicarono “BONN Appetit” (Atavistic, 2000) ed il postumo “II” (Atavistic, 2003). Infine iniziò una propria carriera solista che metteva in mostra un’autrice di gran talento, capace di farci innamorare della sua musica. Poi, all’improvviso, non si seppe più nulla di lei per lunghi otto anni.

“Glen echo” rappresenta il rientro sulle scene e subito notiamo che non si esibisce al pianoforte (suo strumento base, lo insegna pure all’Università di Chicago), ma alla chitarra, attraverso cui ha composto i brani, per poi suonarli tutti da sola utilizzando strumentazione varia.

La differenza si avverte immediatamente, infatti nei vecchi lavori forti erano i richiami verso interpreti quali Joni Mitchell e Laura Nyro e a un certo jazz confidenziale, ora i sapori e i profumi di questa raccolta ricordano maggiormente formule musicali vicine all’indie-rock. Un chiaro esempio è rappresentato da “Online life”, “If U die” e “Bruxism”, in possesso di ritmi brillanti e linee di chitarra molto ben riuscite. “Our body” si sposta intrigante verso sonorità psichedeliche sospese, “Don’t”, notturna e sognante, sembra rendere lo spazio e il tempo più esteso.

Non tutto è perfettamente riuscito, ci sono composizioni che ancora risentono della propensione per il vecchio strumento (“Two brutal moving parts” e “Glen echo”), per cui il passaggio dal piano alla sei corde non è ancora totalmente risolto, però la nostra dimostra attitudine alla chitarra, nonché un gran gusto nel suonarla.

L’album è veramente notevole per metà della sua durata, per cui mi ritengo soddisfatto del ritorno di un personaggio da me molto amato!!!


 

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