Brahem è un musicista tunisino, suonatore di oud, che è il liuto mediorientale.
Il suono di questo strumento ha attraversato il tempo, i luoghi, le culture e le popolazioni. Tratto distintivo della cultura araba, è giunto in Europa dal Mediterraneo, partendo dall’Iraq attraverso l’Asia Centrale ed il Marocco. Sbarca in Spagna, arriva in Francia per poi fermarsi in Italia dove ha dato origine al liuto.
Fortunatamente non è uno strumento che è andato perduto, perché ancora oggi ci sono musicisti che lo tengono in vita, tra cui Rabih Abou-Khalil, di origini libanesi, e il nostro Brahem. La loro musica viene ritenuta simile, anche se quella di Anouar sembra più soffice ed onirica. Quello che propone può essere definito world jazz, in realtà mescola la musica classica araba con motivi folk e jazz per creare un blend sonoro innovativo. Il musicista tunisino ha trascorso tutta la sua carriera sotto l’egida dell’etichetta bavarese ECM, ha collaborato con grandi musicisti, come Dave Holland, John Surman, Richard Galliano, Jan Garbarek. La formazione che preferisce è il trio oppure il quartetto. Nel 1981, per quattro anni, si trasferì a Parigi dove collaborò con Maurice Béjart, e compose parecchi lavori originali per pellicole tunisine e per il teatro. Mi preme ricordare il suo lavoro del 2014, ‘Souvenance’ che fu scritto sull’onda dell’emozione per la cosiddetta primavera araba che iniziò proprio in Tunisia. È di poche settimane fa la pubblicazione di ‘Blue Maqams’, registrato a New York lo scorso maggio, con Django Bates al piano, Dave Holland al contrabbasso e Jack DeJohnette alla batteria. Il titolo sta a significare l’unione tra il complesso sistema armonico e modale arabo e il blue così spesso evocato nell’improvvisazione jazzistica. In ‘Bahia’ assistiamo alla commistione tra tradizione araba e swing. Un altro esempio di quest’impasto è rappresentato da ‘Opening Day’. ‘Bom Da Rio’ è una tavolozza colorata che passa attraverso il Brasile, ma lambendolo senza addentrarvisi. DeJohnette è come sempre un mago nello sciorinare ritmiche e tempi con ‘La Nuit’ che ne è l’esempio più appropriato. ‘Unexpected Outcome’ è il più emozionante dei legami tra Africa, America e mondo arabo e conclude un lavoro ad alto tasso emozionale, che fa riflettere e chiede di essere assaporato un poco per volta.

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