Il sassofonista americano Albert Ayler (1936-1970) è da molti considerato uno dei migliori rappresentanti del free jazz degli anni ’70, un artista capace di spingersi oltre le improvvisazioni sperimentali di John Coltrane ed Ornette Coleman, per raggiungere orizzonti musicali in cui timbro, armonia e melodia vengono completamente destrutturate.
Casa Jazzwerkstatt propone “Music is the Healing Force of the Universe / Fragments of Music, Life and Death of Albert Ayler”, uno splendido cofanetto che, con due album, celebra il genio creativo dello straordinario musicista americano.
Nel primo volume del cofanetto, “Music is the Healing Force of the Universe”, l’ascoltatore avrà modo di apprezzare Ayler al sax tenore che, insieme al fratello Donald alla tromba, Michael Sampson al violino, Lewis Worrell al basso e Ronald Shannon Jackson alla batteria, interpreta 4 suoi intensi originali. Il secondo disco offre invece la registrazione originale del concerto dedicato alla musica di Albert Ayler che Peter Brotzmann (sax alto e tenore, tarogato), Toshinori Kondo (tromba, elettronica), William Parker (contrabbasso) ed Hamid Drake (percussioni, tamburo) hanno tenuto il 19 agosto del 1993 a Berlino. Peter Brotzmann racconta di Ayler: «Molti non lo hanno ascoltato, è stato controverso fino alla fine della sua breve vita. Soprattutto i critici non sapevano come approcciarlo. Il pubblico, soprattutto in Europa, lo amava. Dalla fede alla visione il passo è breve, dalla visione alla realtà un salto nell’East River. Anche se così breve, la sua vita è esemplare e soprattutto la sua morte è una testimonianza delle depressioni quotidiane a cui un musicista di ‘musica invendibile’, come lo definiva il suo amico e collega Charles Tyler, sono esposti in America, in particolar modo a New York. Sicuramente la stima che ha riscosso in Europa gli ha fatto bene. Poi però, una volta tornato a New York, la depressione è ritornata. Un anno prima della sua morte ha dovuto internare suo fratello Donald in manicomio. Dall’inizio i titoli dei suoi pezzi documentano la malinconia nei confronti di un mondo diverso e migliore: “Spiritual Unity”, “Ghosts”, “Truth is Marching”, “Universl Message”, “Holy Family”, “Our Prayer” e “Spirits Rejoice”…lo pensava davvero.
Negli ultimi anni la discrepanza tra volere ed essere si fece sempre più evidente: da qui il tentativo di aprire la musica a tutti, di far partecipare tutti alla sua esperienza, alla sua energia selvaggia, al suo amore, per dare a ciascuno un pezzo della sua fantasia.
In modo apatico alla fine degli anni ’60 furono registrati gli ultimi dischi – si ritorna al soul, rhythm and blues, il tutto guarnito con testi estremamente banali, scritti sotto la pressione della casa discografica. Non hanno avuto successo. Dopo il concerto che tenne nel luglio del 1970 in Francia si ritorna a respirare: era di nuovo lì, con tutta la sua passione e persuasività. Quattro mesi dopo fu ripescato dalle acque dell’East River».


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